Lo Stregone dei Dati #048
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“È la nostra luce, non la nostra ombra, quella che ci spaventa di più.”
(Nelson Mandela)
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto del successo personale e di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.
Hanno tutti paura dell’Intelligenza Artificiale. Ne parlano a Davos, ne parlano in parlamento, ne parlano in tivu, al bar e in metro. Hanno paura che ci rubi il lavoro, che termini la vita sul pianeta, che renda l’umanità schiava della tecnologia (già successo, ma pazienza), che faccia definitivamente sparire le mezze stagioni...
Vorrei tacerlo, ma mi tocca dirlo: chi più ne parla, e chi deve deciderne, è a volte gente che non distingue un mouse da una tastiera. In fondo non è neanche colpa loro, perché mai come in questa epoca non basta esperienza, saggezza e buon senso a decidere di cose di mondo che hanno un contenuto tecnico impervio e ineludibile. Ma tant'è è se c'è una cosa che a me fa paura è proprio questa, molto più della minaccia di algoritmi canaglia.
Tornando alle possibile conseguenze tossiche dell’AI, inutile negare i rischi. Inutile dal punto di vista della comunicazione, più li neghi e più li confermi nella testa della gente. Inutile anche perché improprio, non si può certo escludere che l’AI porterà degli effetti negativi, anzi se vogliamo dirla tutta, è più che probabile.
Penso che un modo onesto e equilibrato di guardare alla questione sia di immaginare che l’AI porterà molti vantaggi, ma anche danni significativi. La domanda allora è quanti danni siamo disposti ad accettare, per potere lucrare i benefici?
L’apocalisse prossima ventura
Proviamo a contestualizzare con qualche esempio. Si fa per dire, ma saremmo disposti a contemplare un futuro in cui l’AI sia un grande fattore di benessere, comodità e avanzamento in molti campi, ma sia anche responsabile della morte violenta, ogni anno, che so io, di un milione di persone? Saremmo disponibili a percorrere quella strada? Anche un singolo unico morto è tanto, figuriamoci un milione! Immaginiamo pure che le vittime della Ai siano soggette a morti violente, le carni straziate, i corpi bruciati o dilaniati. E che accanto a quel milione ce ne siano svariati (milioni) che escano vivi dallo scontro con i prodotti dell’AI, ma fortemente compromessi nel fisico e nella mente, tetraplegici, paraplegici, invalidi gravi. Molti di questi, tra l’altro, giovani.
Fa venire i brividi, vero? Saremmo dunque disposti a fermare lo sviluppo dell’AI per evitare questa carneficina?
Penso si sia capito dove vado a parare, ne abbiamo già parlato in questa newsletter: secondo l’OMS ogni anno ci sono 1,3 milioni di morti per incidenti stradali. Tremila in Italia, più di otto al giorno.
Chiaro, la questione posta in questo modo è poco più di una semplice battuta ad effetto. Ci offre però qualche insight significativo.
Nel ‘72 infatti (dati ISTAT) ci furono in Italia 10.077 incidenti stradali, contro i 3.175 dell’anno scorso. Molti, troppi, inaccettabili, ma è pur sempre un progresso enorme. Possiamo prendere esempio da questo caso per capire come comportarci di fronte a questa ondata di innovazione?
Vengo a prenderti stasera
Le automobili non potevano iniziare in modo peggiore la loro strada su questo pianeta (automobili, strada …).
All'inizio della loro storia piombavano nei villaggi a velocità pazzesca (venti chilometri all’ora, per l’epoca, era davvero pazzesco), facendo un rumore insopportabile di ferraglia e diffondendo puzze pestilenziali, di olio bruciato e benzina, come si aprissero le porte dell’abisso. Inevitabilmente lasciavano dietro di sé una scia di vittime, uomini e animali.
D'altro canto non c’erano semafori, marciapiedi, strisce pedonali. Non c’era codice della strada che stabilisse la precedenza all’incrocio, e neanche si sapeva chi dovesse tenere la destra, o la sinistra. I pedoni non guardavano prima di attraversare, perché fino ad allora non c’era stato nulla da guardare. Niente carrozzerie ad assorbimento, niente cinture, nessun tipo di misure di sicurezza. Un gran casino, danni e vittime ingenti.
Si poteva, si doveva fermare la diffusione di questi nefasti pezzi di metallo su ruote?
A mio avviso quello che è successo, e che può servirci da guida anche per l’oggi e il domani, può essere ricondotto al realizzarsi di due condizioni.
Di più, non di meno
Se non riesci a tirare, prova a spingere. La storia dell'automobile non è una storia di sottrazioni, di divieti e impedimenti. È una storia di sviluppo di meccanismi e congegni nuovi che hanno reso sempre più sicuro il mezzo, al crescere delle prestazioni.
Le automobili non vanno più lentamente di prima, vanno molto più veloci, affrontano le curve a velocità prima impensabile. Eppure via via fanno meno vittime, al crescere pure del numero di pezzi in circolazione.
Serve a poco frenare l’innovazione; va anzi spinta, affidandosi ad essa per promuoverne le corrette condizioni di utilizzo. Ogni volta che arriva un’idea che migliora il tutto, basta agevolarla e poi renderla una norma.
Le regole all’incrocio
Normare il modo in cui viene costruito un meccanismo, entrare dentro il motore e imporre il modo in cui funziona, è lavoro improbo, diciamo pure impossibile. Occorre predisporre un’autorità ispettiva e invasiva, soggetta a cecità e inefficeinze di qualunque genere e natura. Tipo, che so io il diesel-gate. Le regole poi rischiano sempre di nascere vecchie.
La regolamentazione non va fatta per quello che c’è dentro le automobili, ma per il modo in cui interagiscono, va fatta per le strade e agli incroci, stabilendo precedenze, limiti, punti di controllo e verifica, dove uno deve fermarsi e dove può andare via tranquillo. È per strada che diventa effettivamente possibile intervenire perché invece di definire come uno deve essere fatto, regolo il modo in cui si comporta, che è osservabile e sanzionabile. Andava troppo veloce, non ha rispettato la precedenza, ha parcheggiato in seconda fila.
Ogni metafora ha i suoi limiti e anche questa funziona a modo suo; ma le implicazioni per lo sviluppo futuro del digitale mi sembrano stimolanti.
Non freniamone lo sviluppo, promuoviamo sistemi e protocolli che li rendano sicuri. Non cerchiamo di normare cosa devono fare, regoliamone le interazioni con i movimenti finanziari, l’informazione, l’utilizzo di contenuto di terzi, la responsabilità da danni in sede civile.
E ora … un po’ di musica
Non ho una macchina, e la cosa mi spezza il cuore; ma ho trovato un guidatore, ed è un buon inizio.
Ciao Stregone, mi sono piaciute le immagini che ci hai proposto (la guerra, gli incidenti stradali).
Secondo me la corsa all'AI al momento è più simile alla corsa al nucleare degli anni 40: enormi potenzialità, problemi etici devastanti, un gruppo di fisici considerati delle rock stars. Al momento è uguale (a parte che in quel momento era tutto in mano ai governi, ora è tutto in mano ai privati... e considerando Hiroshima forse non è neanche un male). Ecco, con AI ci basta non ripetere l'episodio della bomba e l'umanità capirà serenamente che ci si può trarre un enorme progresso. Sta anche a tutti noi che siamo gli addetti ai lavori.