Cosa ti cambia? - Lo Stregone dei Dati #068
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“La tecnica è oggi il nostro fato”.
Gunther Anders
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del significato della vita digitale. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono solo l’applicazione delle tecnologie all’universo di dati che ci circonda.
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☢️ Questo post contiene materiale ad alto rischio di mutazione ☢️
Noi Stregoni siamo abituati a leggere i segnali più fragili e tenui, piccole increspature nello spazio-tempo-materia, lievi vibrazioni nel succedersi dei giorni, infinitesimi accenti sfiorati nelle frasi più comuni origliate agli angoli di una strada. Dove i più vedono scontate variazioni pervicacemente coerenti con i temi che dominano il mainstream, noi scorgiamo il lento inesorabile mutare delle condizioni umane.
Certo, l’essere umano è sempre lo stesso, un’unica essenza tra la preistoria ed oggi. Ma è una staticità mutevole, un’identità confusa, un equilibrio che appoggia su perni che si spostano.
L’uomo è sempre lo stesso, ma i tempi quelli sì che cambiano. E i tempi stanno cambiando.
Venite qui attorno ragazzi, dovunque stiate vagando,
e ammettetelo, l’acqua sta salendo.
Meglio che ve ne facciate velocemente una ragione:
presto sarete zuppi fino alle ossa.
Se avete ancora considerazione per il tempo che vi resta,
meglio imparare a nuotare.
Oppure andrete giù a piombo come delle pietre. (Master Bob)
Cosa sta cambiando?
Oggi mi spreco di citazioni, pescando alla rinfusa tra il mare di movimentismo del mondo attuale.
“Nessuna azienda può permettersi di non progredire. Anche se oggi sta in cima al mucchio, se non lo fa domani si ritroverà sul fondo.”
James Cash Penney, fondatore di JCPenney“Vedi le cose nel presente, anche se sono nel futuro.”
Larry Ellison, co-fondatore e Executive Chairman di Oracle“Non mi focalizzo su quello che mi sta davanti. Mi focalizzo sui miei obiettivi e cerco di dimenticare tutto il resto.”
Venus Williams“Il veleno più potente è il senso di avercela fatta. L’antidoto è di passare le serate pensando a quello che si può fare meglio l’indomani.”
Ingvar Kamprad, fondatore dell’IKEA
Ma pensa a te! ma che strana gente!! Tutti a sostenere che il vero senso del presente è il futuro, perché se ci impegniamo, ma ci impegniamo molto, ma molto molto, possiamo forgiarlo e renderlo meraviglioso.
Il Carletto Marx (a mio parere, la butto lì, molto più forte sulla teoria che sulla pratica) parlava di alienazione come di separazione patologica tra il lavoratore e l’oggetto del suo lavoro. Banalizzando, mentre il frutto finale del lavoro del contadino è il raccolto, lo vede lo tocca lo può mangiare; mentre il falegname tocca vede e può utilizzare il mobile fatto e finito; l’operaio spende le giornate ad avvitare un bullone, separato, addirittura ignaro di quello che esce alla fine della linea di produzione. Una crasi, una separazione drammatica che associamo ai tristi tempi della catena di montaggio. Ma il mondo post-industriale non si è fermato lì: la frontiera dell’alienazione si è spostata dall’ambito dei prodotti a quello del tempo. Siamo alienati dal nostro presente, che peraltro è l’unico tempo che potremmo veramente vivere. Non ci appartiene più, perché il senso proposto al nostro sforzo è un futuro che di fatto non potrà mai appartenerci. Quando e se arriverà, non sarà più futuro ma presente, e via un altro giro di giostra.
Destinazione paradiso
L’ideologia corrente recita più o meno così: se ci metti un mare di fatica, le 10.000 ore per apprendere, le 80 ore alla settimana di lavoro; se pianifichi con attenzione e usi il metodo giusto scegliendo accortamente tra il mare di libri corsi online biografie di manager e imprenditori life hacking tricks productivity i 10 consigli di quello che ce l’ha fatta app ad abbonamento mensile device assortiti; se aggiungi un pizzico di talento (ma secondo alcuni si fa anche senza) … rullo di tamburo … ce la farai! e arriverai dove vuoi! e sarai felice! o quantomeno ricco e famoso, che è un proxy (secondo loro) accettabile della felicità.
Ora, già l’avrete intuito, tutto questo per me è un enorme mare di fanfaluche, un oceano marrone, per meglio dire.
Come sempre, chi fa i soldi sono quelli che vendono attrezzi e provviste, non i cercatori d’oro. Di conseguenza c’è un forte incentivo di una marea di operatori a sostenere che è possibile avere successo se fai X e Y e compri Q e Z.
Il metodo classico di vedere come hanno fatto quelli che ce l’hanno fatta, e imitarli, è un’impietosa sciocchezza. C’è un mare di gente che ha fatto esattamente le stesse cose e non ne è uscita viva. Proprio per questo nessuno ha scritto un libro su di loro, per cui non hanno voce e sembra che on siano mai esistiti.
Ho sperimentato più volte che quello che nella vita sembra un rovescio, spesso è un’opportunità, un breakthrough; e purtroppo anche viceversa. Impossibile valutare oggi l’impatto di qualunque cambiamento complesso, sembra una fortuna ed è una sciagura, sembra una botta di buona sorte e ti sta conducendo in realtà verso un vicolo cieco.
Ho pure sperimentato che è importante partire con un piano; ma che il piano serve fino a un certo punto perché tanto la vita, il mare, le correnti, le bonacce e le tempeste, le crisi, le riprese e i boom ci porteranno in direzioni insospettate. Ogni navigazione oltre il piccolo cabotaggio è sottoposta a incertezze; figuriamoci quella nel mare della vita.
In media, il banco vince. In media, siamo tutti nella media. Certo ci sono gli outlier, ma ambire a essere la deviazione statistica cui non si applicano le leggi che valgono per gli altri, è una semplice speranza. E la speranza non è una strategia.
Ma allora il cambiamento?
“Scusa, caro stregone delle mie ciabatte, ma non avevi iniziato dicendo che i tempi stanno cambiando e che vedi il cambiamento arrivare”?
Prima di tutto ti ringrazio per la stima. Vero, c’è un cambiamento che sta bollendo in pentola, lo sento, lo so, e ci tornerò sopra. Ma:
Il cambiamento non lo fai tu, non lo faccio io, non c’è forza di volontà che tenga. Lo viviamo in diretta, ci allineiamo, scegliamo se stare al centro o ai margini, se allinearci al vettore o provare a spostarlo di un cincinino. Se qualcosa deve succedere, succederà comunque.
I tempi del cambiamento non sono quelli della speranza di vita media. A volte succede subito, quando ancora non siamo in condizione di approfittarne. A volte succede troppo tardi, quando siamo oramai fuori gioco. A volte è qui in un lampo, e ce lo siamo perso; a volte il passo è così lento che a malapena lo avvertiamo.
Mi sta bene che ci sia gente che passa il tempo a predire il futuro; ma solo se parliamo di un passatempo intellettuale che ha lo scopo immediato di dare più senso al presente. Se qualcuno osa sostenere di avere una qualunque capacità di predire cosa succederà nella politica, nell’economia, nella società, in qualunque ambito umano, non è uno stregone, è un ciarlatano.
Tecnologia del cambiamento
La tecnologia può aiutarci a prevedere il futuro? A gestirlo?
Quella disponibile oggigiorno può aiutarci a fare previsioni statistiche relative a sistemi a bassa complessità e in un futuro prossimo. Tipo predictive maintenance nelle aziende industriali, per intenderci.
Per quanto riguarda invece i sistemi a media complessità, tipo il corso delle azioni, ancora no e forse mai; altrimenti la borsa sarebbe chiusa e fallita da un pezzo.
La storia umana? i movimenti delle masse? A dispetto del combinato disposto delle enormi masse di contenuti disponibili, della complessità degli algoritmi statistici, dei sistemi IoT che rilevano in tempo reale tutto quello che succede, dell’abbacinante potenza computazionale; in ogni caso, non siamo neanche vicini, la psicostoria di Hari Seldon rimane per ora nei libri di fantascienza.
Se dunque la tecnologia non può prevedere il futuro, come potrà mai scientemente influenzarlo?
Certo questa non è la vulgata. L’affermazione della propaganda è piuttosto che la tecnologia E’ il futuro. Che il nostro futuro, sia pure ancora incerto, sarà determinato dalle novità tecnologiche di oggi e domani. Più che determinato dalla tecnologia, costituito da essa.
Nei millenni noi umani abbiamo pensato e creduto che il futuro fosse legato a personaggi carismatici, i tanti Napoleoni che si sono succeduti; a forme politiche, monarchie, repubbliche democrazie oligarchie; a nuove idee filosofiche. Mai abbiamo pensato che il nostro futuro fosse le macchine.
Complottismo
A questo punto penso che emerga un quadro coerente.
Prima si svuota il presente per affidarlo a un futuro che non c’è né mai ci sarà - è una caratteristica base del futuro, quando arriva non è più tale, è presente, il futuro in sé si sposta continuamente, se pensate di poterlo vivere, non avete capito un acca.
Poi questo futuro che occupa l’orizzonte del tempo lo affido allo spazio delle macchine, degli algoritmi, dei computer quantici; ne trasferisco la proprietà a qualcosa che non sono io, che non è minimamente umano. Ma allora cosa ci rimane?
Totale alienazione, sospensione in un limbo dove non siamo più protagonisti di niente. E’ questa la singolarità, Skynet. Non ci verrà imposta da qualche super cervello quantico, ce la stiamo costruendo noi.
Rimane solo il silenzio
E’ il titolo di un vecchio, bellissimo album di un cantautore canadese, Murray McLauchlan: Only the silence remains. Magari! potremmo godercelo un po’ di silenzio, per ascoltare le cose che si sentono solo quando nessuno parla.
Stamattina mi sono svegliato molto prima dell’alba, tutto taceva, anche la città che non si ferma mai. Per una volta non ho acceso nulla, neanche la macchinetta del caffè (moka tutta la vita) e mi sono ritrovato pieno di entusiasmo. Libero dalla schiavitù del domani. Libero dalla fiducia in un cambiamento che viene da fuori. Libero dalla paranoia di essere altro da quello che sono. Libero dall’ansia di fare di più. Libero dal desiderio di trovare una app o un libro che cambi il mio futuro. Libero dalla tentazione di comprare quell’oggetto che mi renderà più felice; quel corso di formazione che mi renderà più intelligente; quella app che mi renderà più performante. Libero dall’angoscia dei ricavi, del profitto, del shareholder value, dall’ansia maledetta curva che deve sempre per forza andare da sinistra in basso a in alto a destra. Libero di essere solo quell’uomo che prende il primo caffè della giornata. Libero di scoprire un tesoro di immane bellezza, un tesoro nascosto che vale più di qualunque gioiello: il momento presente, dono e miracolo, che passa e non torna e per questo vale tutto noi stessi. And there but for the grace of God go I.
E ora un po’ di musica
Lo so, c’è fin troppo zucchero nella musica di John Denver, siamo costantemente a rischio diabete. Ma nel suo genere è stato un punto di riferimento e sempre nel suo genere ha scritto delle gran belle canzoni.
Tra cui questa, la luce del sole sulle mie spalle. Da ascoltare al momento giusto, magari davanti a un panorama come si deve.
Ci fosse un giorno da donarti, ti donerei un giorno proprio come oggi. Ci fosse una canzone da donarti, ti donerei una canzone che ti faccia sentire proprio così. Ci vuole un pizzico di insulina nella vita.
È davvero tutto molto interessante, e sono pure consigli di buona ed intelligente provenienza ma al termine della newsletter mi è rimasto un senso di "e quindi?" in bocca.
Sarebbe interessante, caro Stregone, andare oltre ai consigli di così ampio respiro: già hanno scritto un almanacco a proposito e uno ci ha fatto pure la sua fortuna editoriale con i vari capitoli dell'evoluzione dell'uomo. Un altro perfino ora fa conferenze solamente dopo aver pubblicato a proposito di silicio.
Non critico nulla, anzi ringrazio e mi complimento, la mia giovane età (sob!) non mi permette di vedere dove tu vedi, caro Stregone, ma ogni tanto qualche strumento operativo lascialo qua e là. Anche Gandalf ha regalato qualche fuoco artificiale a Frodo, poi han fatto casino, ma l'ha fatto. Anche Merlino ha fatto provare ad estrarre la spada al giovane Artù (Disney eh). Tu cosa mi\ci fai provare?
Un caro saluto