Lo stregone dei dati - The data warlock #003
Gestire l'azienda come una "data & technology company", combinando dati e informazioni mediante tecnologie trasformative.
“E’ pericolosissimo quando l’informazione si traveste da spettacolo.” (Paolo Bonolis)
Benvenuto alla newsletter dello Stregone dei dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto della competitività di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.
Il mondo, in fondo, è un’informazione, e questa è la chiave per viverci e prosperare.
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Le assicurazioni? Una questione di statistica
Al cuore di ogni compagnia assicurativa sta da sempre un manipolo di statistici iper specializzati, gli attuari. Per esercitare il mestiere devono essere iscritti a un albo pubblico che certifica una loro abilità particolare, quella comune anche alla Sibilla Delfica e all’Oracolo di Odona. Si tratta di vaticinare, prevedere quello che verrà, indovinare il futuro. Oracoli e attuari sono stregoni anche loro, anche se della specie che predice, e non influenza, il futuro, che non è la stessa cosa.
Sulla base delle previsioni elaborate dagli attuari e relative a variabili demografiche, economiche, finanziarie, le assicurazioni possono confezionare polizze di vario tipo che consentono loro di realizzare un margine economico tra quello che succederà, e i soldi che è disposto a pagare chi vuole proteggersi dal rischio che succeda.
Dunque il primo mestiere delle assicurazioni non è tanto “assicurare”, garantire, tutelare; quanto predire il futuro attraverso l’elaborazione statistica di dati e informazioni.
Un’attività di questo tipo non può che beneficiare dagli enormi progressi realizzati nel campo della data analytics, tanto che le compagnie assicurative stanno prendendo coraggio e progettando lo sbarco nei settori a valle, quelli da loro assicurati, in primis la sanità. Le compagnie assicurative gestiranno gli ospedali; non sanno nulla di medicina, ma “sanno” di dati, e questo fornisce loro un competitive edge sia pure in un mestiere così diverso.
Seguendo questo percorso e rivitalizzate dal potere dei dati le assicurazioni stanno modificando progressivamente il profilo delle loro attività, passando da una configurazione c.d. “detect and repair” a una c.d. “predict and prevent”. Cosa significa? In altre parole “prima” prendevano nota del danno da tamponamento, mandavano un perito a verificarlo, offrivano un risarcimento secondo quanto previsto dalla polizza e poi alzavano il bonus malus; “adesso” in base alla destinazione scelta, imputata sul navigatore o dichiarata dal conducente, consigliano in tempo reale il percorso più sicuro e sempre in modo simultaneo adattano il premio assicurativo alle condizioni atmosferiche, a quelle del traffico, allo stile di guida che stiamo utilizzando, e così via.
Anche il pagamento dell’eventuale premio avviene in modo automatico; ad esempio già da anni esistono polizze per i viaggi in aereo che agiscono in modo automatico al verificarsi di determinati avvenimenti. Se il volo arriva in ritardo il cliente trova l’accredito del relativo risarcimento quando riaccende lo smartphone presso l’aeroporto di destinazione. “Ding” canta il telefonino, o “dzzz” vibra contento, e il risarcimento è già sul conto in banca.
Questo è un perfetto esempio di come una prestazione possa essere erogata in modalità “embedded”, una modalità che diventerà sempre più importante per tutte le funzioni di servizio. Un servizio funziona in modalità “embedded” quando invece di essere giustapposto all’attività compiuta, si inserisce all’interno dell’attività del soggetto, in modo indistinguibile rispetto ad essa.
L’assicurazione accompagna il viaggio, adattandosi allo stesso in modo automatico e simultaneo, senza bisogno di atti coscienti da parte nostra. Per fare un altro esempio, il micro finanziamento accompagna l’atto di acquisto, secondo modalità stabilite in precedenza, senza bisogno di essere attivato e configurato volta per volta.
Ci sono molte lezioni da apprendere in quello che sta succedendo in questo comparto. Una fra tutte è relativa all’orientamente temporale della nostra attività e al modo in cui utilizziamo i dati a nostra disposizione: per registrare, per comprendere o per predire. Tre infatti sono i modi di utilizzare i dati e la data science: per registrare il passato, per comprendere il presente, per anticipare il futuro. Inutile dirlo, la vera mission possible è la terza, quella da veri e propri stregoni.
Il secondo sforzo sarà quello di passare ad attività di erogazione “embedded”, che non siano (e non siano percepite dall’utente) come scollegate e giustapposte rispetto alla sua attività, ma contemporanee e coincidenti. Un altro ottimo esempio è quello di Amazon Prime, che ha reso la consegna parte irriflessa dell’atto di acquisto. In questo modo non si è percepiti come un costo, ma come un valore che è poi il valore di quello che sto comprando.
Per approfondire: Insurance 2030—The impact of AI on the future of insurance
Da Asimov agli aspiravolvere
Tempi strani per i robot.
Si diffondono rapidamente in tutti gli ambiti, da quelli casalinghi a quelli industriali. Ma il corollario di questo rapido avvento è la perdita dell’alone arcano e un po’ minaccioso che detenevano. Chi ha più paura dei robot, quando li usiamo tutti i giorni per pulire i pavimenti?
I robot sono ormai dovunque, sostituendoci in tutte quelle mansioni che richiedono precisione, velocità e un alto grado di ripetitività. Possono impattare sull’ambiente fisico, quali appunto quelli ormai largamente diffusi nelle fabbriche e nelle case; ma anche sulla componente dei servizi e sicuramente sulla nostra attività digitale.
La mia logica è innegabile! La mia logica è innegabile!
(V.I.K.I. dal film “Io robot”)
La robotica e l’Intelligenza Artificiale sono campi connessi: la AI consente ai robot di evolversi, migliorando le capacità di coordinamento visivo-manuale; potenziando l’abilità nel muoversi su terreni complessi e su itinerari non codificati; sviluppando la possibilità di reagire a situazioni sfumate e stati emotivi percepiti; e arricchendoli di altre abilità complesse che ne permettono il dispiegamento in svariate applicazioni.
Se esaminiamo il complesso delle attività che svolgiamo in una giornata, scopriremo che in molti casi si tratta di compiti ripetitivi che non richiedono giudizi sfumati, intuizioni, divinazioni, sortilegi o altre capacità umane superiori; tutti potenziali ambiti di azione robotica.
Chiunque tra noi abbia mai sviluppato una semplice macro Excel ha sperimentato una modalità di robotizzazione dei processi. Ora però c’è molto di più, in particolare grazie al diffondersi di due fenomeni:
le applicazioni c.d. “low coding”, che consentono di programmare in modo evoluto senza possedere alcuna nozione di programmazione (o quasi)
le librerie di soluzioni già preconfezionate, secondo un approccio ispirato all’open source, per cui una volta presa la mano su una certa piattaforma si può accedere a miriadi di piatti precotti, messi a disposizione da persone di buona volontà
Questi due fenomeni aprono uno spazio enorme al “personal robotting”, o alla “robotica fai-da-te”, o a come volete chiamarla. Ci sono molte piattaforme che consentono di velocizzare la robotizzazione della nostra vita. Mi viene in mente Zapier, che promette di fornire dei “semplici strumenti di automazione che ci danno il potere di fare le cose senza alzare un dito”, no coding required. IFTTT che connette i device e le applicazioni che ci circondano per costruire routine complesse e automatiche (ad esempio, tutte le volte che usciamo dall’ufficio il GPS del telefonino innesca un messaggio email che ricorda al coniuge di buttare la pasta). Knime che tramite strumenti “low coding” permette di confezionare soluzioni anche avanzate di data science in modo grafico e intuitivo. Infine AutoHotKey che funziona in ambiente Windows per controllarne il funzionamento e automatizzare task sul PC.
Insomma, “robottiamoci”, cioè buttiamoci nella robotizzazione.
L’anno prossimo saranno 80 anni da quando Asimov codificò le 3 leggi della robotica. La prima proibisce alle scatole di metallo che animavano la sua fantasia di fare del male agli esseri umani; la seconda sancisce che esse devono obbedirci; la terza ammette che devono preservarsi, ma mai a scapito delle prime 3 regole. Mi sento di dire che di queste regole non si è mai sentito il bisogno, la realtà è più semplice, meno minacciosa e sicuramente piena di potenziali vantaggi. E’ tempo di fare spazio ai robot nella nostra vita. #rebot yourself
Per approfondire: 3 ways robots won in 2021
L’alveare
Già da parecchi anni, così è stato detto, siamo entrati nella “API economy” (aka SaaS o Software as a Service), dove per API non si intendono gli esemplari di apis mellifera
ma le Application Protocol Interfaces. In sostanza, le API sono delle istruzioni che permettono a sistemi diversi di comunicare in modo comprensibile tra di loro, richiedendo da parte di un sistema l’esecuzione di funzioni proprie del secondo. In questo modo è possibile La piattaforma che le mette a disposizione consente di accedere in modo facile e immediato ai dati e alle funzioni che vorrà mettere a disposizione. Le API sono un tessuto connettivo, una lingua comune che consente a sistemi diversi di collaborare in modo semplice e immediato.
“Chiamo” la funzione secondo le regole che sono state definite e sempre in una lingua da me comprensibile mi arriva la risposta. “Mi mandi una mappa della zona intorno a Piazza Duomo?” “Eccola qui, pronta per la pubblicazione sulla tua pagina web”. “Mi mandi la traduzione degli atti del convegno?” “Eccoli, in più di 100 lingue diverse”.
E non devo neanche chiedere “per favore”!
Le funzioni disponibili tramite API sono ormai sterminate, alcune di larga applicazione, altre iper specializzate. E’ l’esatto contrario della logica del “faso tuto mi”, o “reinvent the wheel” come dicono nella Silicon Valley. Non c’è bisogno di fare tutto in casa; non c’è neanche bisogno di installare programmi di altri sui propri server; quando ho bisogno di qualcosa, “chiamo”, prendo e porto a casa, pagando tendenzialmente solo quello che ho utilizzato.
Tra l’altro in questo modo posso comprare in ogni momento dal miglior offerente, aspetto cruciale in un mondo digitale dove l’eccellenza è liquida e instabile, il miglior fornitore oggi per un certo tipo di servizio non lo sarà domani. E’ un parterre molto affollato e in prima fila ci sono i grandi del digitale, che hanno prodotto e continuano a sfornare servizi di eccellenza e a metterli a disposizione (tramite API, ovviamente) del mondo intero.
Purtroppo però non è così semplice. Prima di tutto bisogna combattere la presunzione degli informatici, che sono comunque sempre convinti che quello che sanno fare loro, nessuno al mondo, non c’è Google o Microsoft che tenga, per cui molto meglio fare tutto in casa, il bricolage come modus vivendi. Dopo di che bisogna combattere l’atteggiamento di manager e imprenditori (soprattutto i secondi) che sperimentano un’angosciante perdita di controllo tutte le volte che delegano o appaltano qualcosa, fuori (ma anche dentro) l’azienda; alcuni integrerebbero verticalmente anche la costruzione dei mobili dell’ufficio, e se lo dico è perché l’ho visto fare! Se vi resta un po’ di fiato, dovete combattere contro l’architettura dei sistemi aziendali vintage (che sono molti di più di quanto si sospetti, gira ancora tanta roba programata in Cobol), che quasi mai sono stati progettati per accogliere contributi dall’esterno, quanto per parlare solipsisticamente con sé stessi. Tanta gente che passa il giorno fissa a guardare il proprio ombelico e a ripetersi “come è bello!”.
In realtà si potrebbe immaginare un sistema informatico (e un’azienda, per conseguenza) che funziona solo tramite API, fungendo da hub che permette di giustapporre e combinare le diverse funzioni e informazioni rese disponibili da risorse esterne, incastrandole in modo da estrarre valore, come i pezzi del Lego.
Ora la mia convinzione è che questa, che al momento è un’opportunità, diventerà presto una necessità. Dovremo tutti diventare molto bravi nell’utilizzare i servizi di terzi tramite le API. Forze potenti spingono in quella direzione.
I progressi del digitale sono continui, con un tasso di accelerazione crescente, ondata dopo ondata; dobbiamo ancora recuperare quella precedente e già arriva la successiva. Gli ambiti di applicazione sono iperspecializzati, sempre più verticali e esoterici. Le risorse qualificate sono sempre più rare e attrarle è sempre più difficile. Tenersi al passo e rimanere competitivi su questo fronte magmatico e in continuo movimento è sostanzialmente impossibile.
Eppure, nonostante tutto questo, possiamo utilizzare l’eccellenza e portarla in casa nostra, semplicemente tramite le API, che mettono a nostra disposizione potenza di calcolo, algoritmi di intelligenza artificiale, funzioni complesse e specialistiche e quant’altro.
Attenzione però, vale anche il rovescio della medaglia. Molti di noi ragionano tra sé dicendo “meno male che nel mio settore non c’é Google"(o Amazon, o Microsoft, o Facebook, o Apple). Ma qualunque concorrente in modo semplice e economico può utilizzare contro di me il meglio delle risorse di questi giganti, senza sostenere investimenti, senza incorrere in costi fissi e adeguando il costo a quello che sarà l’effettivo utilizzo.
E’ la API economy, puoi gustarne il miele, ma attento a non farti pungere.
E ora un po’ di musica
Come si fa a partire dal punk per arrivare a … quello che potete ascoltare nel pezzo proposto oggi? E’ il fascino di Jonathan Richman e della sua musica incantata e incantevole, canzoni che parlano in modo improbabile e avvincente di piccoli dinosauri, omini dei gelati, egiziani che ballano il reggae, feste estive al chiaro di luna e incontri romantici sui piani astrali. Qui Jonathan ci parla di api reinterpretando un vecchio pezzo R&B come solo lui sa fare.
Well, buzz, buzz, buzz goes the honey bee
Tweele, deedle, dee goes the bird
But the sound of your little voice, darling
Is the sweetest sound I've ever heard