Lo Stregone dei Dati #044
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“La mente che è ansiosa per gli eventi futuri è avvilita”.
(Lucio Anneo Seneca)
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto del successo personale e di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.
Universal Paperclips è un gioco per piattaforma web e mobile, in cui il giocatore deve gestire la produzione e commercializzazione di graffette, prendendo decisioni complesse relative a costi, prezzi, quantità. Man mano che si procede il gioco diventa sempre più difficile a causa dell’intervento di fattori e attori esogeni.
Se spinto alle estreme conseguenze il gioco diventa vittima di sé stesso: la furia produttiva avanza fino a consumare le risorse dell’universo intero, tutto per produrre graffette. In una vertiginosa, furiosa discesa nell’ombelico di sé stessi, il creato diventa un immenso deposito di paperclips e nulla più.
Ansia e angoscia
Secondo Wilfred Bion, psicanalista e psicologo sociale britannico, l’essere umano pendola costantemente tra due stati esistenziali: l’ansia e l’angoscia. L’ansia è provocata dal senso di indeterminatezza, di eccessiva libertà che lo spinge a creare strutture e sovrastrutture culturali, economiche, sociali. Dopo un po’ queste iniziano a pesargli e subentra il secondo stato, quello dell’angoscia, il soffocamento causato dai vincoli eccessivi, di cui si libera. A quel punto subentra l’ansia, altro giro altro regalo.
Sono certo di averlo spiegato ragionevolmente male, e in modo poco rigoroso, ma spero che il concetto sia chiaro e sia chiara anche la sua utilità per capire qualcosa di noi stessi. Anche se a me fa venire in mente quella vecchia battuta di Woody Allen: “Non solo Dio non esiste, ma neanch’io oggi mi sento molto bene”.
Sicuramente spiega qualcosa, questa teoria, del nostro rapporto con la tecnologia: un momento rapiti e affascinati dalle possibilità che dischiude, l’attimo successivo vinti dal timore di quello che potrebbe succedere.
Tigri e prese elettriche
La paura è senz’altro una risposta evolutiva. Una sana ansia nei confronti di quello che succedeva di notte nella savana, delle tigri con i denti a sciabola che si nascondevano nel buio, ci ha aiutati ad arrivare fino a qua. D’altro canto la paura viene insegnata dai genitori ai figli come norma di sopravvivenza; non infilare MAI le forbici nella presa elettrica, altrimenti…
La paura però va vinta e sorpassata. Ho ben capito che il mondo è pieno di tigri con i denti a sciabola e di prese di corrente in cui non è opportuno infilare le forbici, ma dopo un po’ le eccessive cautele rischiano di soffocarmi, voglio scoprire il mondo, e gustarlo. Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.
Le risposte dell’ansia
Stiamo vivendo sotto il bruciante segno dell’ansia, piuttosto che sotto la cupa stella dell’angoscia. E’ un periodo di cambiamenti enormi, di continue rivoluzioni. Come guardiamo al futuro?
La tecnologia distruggerà i posti di lavoro e finirò a fare panini nei fast food; e questo sarà solo l’inizio! Dopo un po’ l’AI prenderà coscienza, diventerà un essere senziente, qualunque cosa questo voglia dire, perché in realtà non sappiamo cosa significhi “prendere coscienza” o “essere senzienti”. E una volta presa coscienza, SkyNet sterminerà la vita sulla terra. Perché mai una AI cosciente dovrebbe per forza distruggere, è tutto da scoprire. Forse è in atto un altro meccanismo psicologico, quello della proiezione, ma ne parliamo un’altra volta. E se proprio va bene e non ci sterminerà, l’AI ridurrà l’uomo a un essere imbelle e informe, schiavo delle macchine. Nel frattempo, i social ci tirano scemi a colpi di video brevi e i giovani neanche riescono più a parlare in modo intelleggibile.
Psicologia dell’innovazione
Non esiste. Dico, la psicologia dell’innovazione. Ho controllato, non c’è neanche la voce su Wikipedia, che ormai non si nega a nessuno. Quei pochi corsi e master sull’argomento in realtà parlano di creatività, che è un’altra cosa. I 100.000 psicologi esistenti in Italia hanno altro da fare e di cui occuparsi, tutta roba degna, per carità, ma nessuno si preoccupa di studiare, capire e intervenire sulle risposte individuali all’evoluzione e al cambiamento tecnologico.
Tutti a parlare di cambiamento e nessuno a occuparsi del modo in cui reagiamo al cambiamento stesso. Noi poveri, insignificanti esseri umani. Pare quasi che non sia rilevante il modo in cui noi, che teoricamente siamo protagonisti e artefici del cambiamento stesso, lo accogliamo o lo subiamo. Come un cuoco totalmente indifferente al gusto dei piatti che lui stesso dovrà mangiare.
E le aziende?
Proviamo a fare questa domanda: l’innovazione ci rende felici? Suona strana, vero? “Make the world a better place” è obiettivo più usuale, decisamente sbandierato più di frequente, ma che cosa significa? E chi è the world, il mondo? Siamo noi? Il Buthan è l’unico stato al mondo che misura sé stesso non in termini di PIL ma in termini di FIL, Felicità Interna Lorda. Suona utopico, un po’ una buthanata; ma ha senso affermare che non ha senso farsi carico della felicità delle persone? del loro equilibrio, del loro benessere, della loro realizzazione come individui, del posto che hanno nella vita e del posto che il lavoro ha nella loro vita?
Le aziende sono organizzazioni orientate al risultato economico, va bene così, c’è una certa etica in questo e non funzionerebbe altrimenti. Alcune però perseguono questi obiettivi diventando delle fabbriche di sofferenza, so di cosa parlo e neanche questo funziona. Evitiamo di prestare loro il formidabile potere delle fabbriche di graffette universali.
E ora … un po’ di musica
Ho bisogno di una soluzione perché sto sprofondando
Sto cadendo nei pozzi che ho lasciato nei quartieri alti
La felicità è una pistola calda.