Lo Stregone dei Dati #041
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“In un bacio, saprai tutto quello che è stato taciuto.”
Pablo Neruda
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto del successo personale e di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.
“Vedi Alessandro, sei un ragazzo intelligente e hai una brillante carriera davanti a te , ma devi capire che c’è un tempo per parlare, e un tempo per stare zitti”.
Silenzio: accuso il colpo.
E’ vero, ho parlato troppo. Ho voluto dire quello che nessuno osava dire, in quel comitato retributivo ristretto. Io, il giovane specialista, il tecnico della compensation a fianco di tre importanti Directors dell’azienda, sono stato imprudente e inopportuno. Ho voluto rompere un silenzio carico di imbarazzo per sottolineare la situazione di privilegio di una persona che se ha una posizione di privilegio, ci sarà pure una ragione, e la ragione la conoscono tutti.
La lezione l’ho capita, anche perché a scanso di dubbi la punizione è arrivata rapida e chirurgica: il giorno dopo sono stato informato di essere stato bannato da quel comitato, né sarò più riammesso. A denti stretti ho accettato, zitto, senza protestare, così si imparano le lezioni, prendendosene la responsabilità. Vorrei poter dire di avere imparato, da allora e per sempre, ad ascoltare in silenzio e parlare solo quando è il caso. Ma è una sfida continua, per me e per molti altri, e diventa sempre più difficile sostenerla.
Zitto!
“Le pause del silenzio” è una composizione di Gian Francesco Malipiero. In effetti la musica senza pause diventerebbe una cacofonia, una successione disordinata di suoni; sono le pause a dare un senso all’incedere della composizione, a darle ritmo e grazia.
E la parola?
Cosasarebbeunperiodosenzaspazieinterpunzioniquantafaticafaremmoacapirecosac’èscrittoecomepotremmointuirnesensoeintenzione (punto interrogativo)
Senza intervallo non c’è partita (non c’è scuola, senza intervallo!). Non c’è apprendimento senza ascolto. Non esiste un senso se non c’è silenzio.
Una persona, una società, un’organizzazione, un’azienda, lavorano sul detto e sul non detto, sullo sprint e sul recupero, sul vuoto e sul pieno. Sopravvivere ed essere efficienti richiede comunicazione vs ascolto; insegnamento vs apprendimento; attività vs passività; parola e silenzio.
Ascolta!
La vita digitale sembra uno di quei ristoranti dove c’è un tal frastuono che nessuno sente quello che dicono gli altri. Ognuno parla a squarciagola per vincere il rumore di fondo e farsi sentire, non facendo altro che peggiorare la situazione complessiva. Pazienza, inizio io urlando un po’ quello che voglio, il mio interlocutore seduto a fianco fa finta di avere capito e di essere interessato, annuisce, quando è il suo turno inizia lui, tocca a me fare finta, e aspettiamo il dolce.
D’accordo, ho scaricato la tua applicazione e ho attivato un abbonamento, peraltro gratuito. Ma è ragione sufficiente per mandarmi 3 (tre) newsletter alla settimana, raccontandomi la rava e la fava sul tuo prodotto, video, white paper e podcast, tutto compreso, con l’immancabile aggiunta di link vari a risorse in rete, per lo più roba che ho già visto in quanto segnalata da tutti gli altri che mi mandano DEM come se non ci fosse un domani? Ogni santa azienda poi non può certo fare a meno di attivare pagine sui social o blog aziendali; di chiedere un follow su Linkedin, et similia. Anche in questo caso i sacri testi predicano una frequenza di post simile a quella precedente, tre o quattro alla settimana.
Facciamo così, invece di accettare il “push”, scelgo il “pull”, vale a dire decido io se cosa come e quando cercare. Vado in rete, apro il motore di ricerca e cerco una notizia sui limiti per l’attribuzione dei costi di riscaldamento a millesimi nei condomini, argomento piuttosto prosaico ma insomma quello mi serve sapere. La domanda è chiara, l’informazione sarà puntuale; invece mi trovo sommerso di post che prima di rispondere si sentono l’obbligo di spiegarmi tutta la disciplina relativa alla validità delle assemblee, la differenza di attribuzione di competenze tra legislazione nazionale e regionale, e via cantando.
Perché tutta questa mania di dire fare parlare comunicare baciare lettera testamento?
Quante sono le aziende che hanno tre o quattro cose interessanti da dire ogni settimana, cinquantadue settimane all’anno, fa tra le 150 e le 200 cose interessanti all’anno?!? Se seguo giusto giusto 10 aziende andiamo nell’ordine di grandezza delle migliaia, non ce la posso fare.
E allora parla!
Non è facile avere qualche cosa da dire che non sia irrilevante, trionfalisticamente compiacente, auto referente, banale o scontato. La maggior parte delle persone sono normali, hanno cose normali da dire e non c’è nulla di male. La maggior parte delle aziende fanno il loro porco lavoro e basta là. Ma allora perché insistere per ottenere attenzione, pretendendo di elevare la propria normalità a un rango di eccezionalità e contribuendo semplicemente al frastuono generale?
Questa bulimica coazione a ripetere si sta estendendo, con un taglio diverso, anche all’universo dei dati e delle tecnologie di trattamento, un complesso di tecniche e pratiche che ormai viene tutta riassunta sotto il marchio cappello (umbrella brand) dell’intelligenza artificiale.
Sono così belli, nuovi e potenti gli strumenti dell’intelligenza artificiale, che vengono applicati a tutto e tutti, non c’è contesto in cui non abbiano qualcosa da dire. Medicina, architettura, energia, arte, intrattenimento, religione, chimica, farmaceutica, poesia, astronomia, musica, coltivazioni, ingegneria meccanica, consumi, pubblicità …
Ora, sperando di non passare per luddista, vorrei proporre una domanda così provocatoria da potere apparire oscena. Secondo voi c’è qualche ambito cui NON applicare le nuove tecnologie? C’è una stanza in cui NON vanno ammessi LLM e compagnia? C’è una festa cui NON vale al pena invitarle? Un’occupazione umana cui NON mette conto che sovraintendano?
Orsi
L’anno scorso si è festeggiato (celebrato, direi piuttosto) l’istituzione del primo parco naturale al mondo, lo Yellowstone. Si è ritenuto di preservare uno spazio cui non fossero ammesse le attività moderne. Poche strade, il minimo di infrastrutture, accessi regolati, niente caccia, niente inquinamento, niente scavi, miniere, pozzi...
Qui, nel regno di Yoghi, di Bubu e del Ranger Smith, la modernità non entra. Perché la modernità è bella, serve, è utile, ma ci sono degli ambiti che devono rimanere intatti, per salvare alcune cose piuttosto importanti: la poesia, la bellezza, la quiete, il silenzio, il buio della notte come non possiamo più ricordare che incornicia il fulgore delle stelle. L’umanità nel suo stato più essenziale, la biodiversità che poi è un altro modo per dire la vita.
L’enfasi attuale sull’intelligenza artificiale, che si pretende applicare a qualsiasi contesto, può essere interpretata in due modi. O abbiamo davvero trovato una pietra filosofale che trasforma tutto in oro; oppure stiamo rieditando il vecchio adagio secondo cui per una martello ogni cosa è un chiodo.
Dovremo o dovremmo istituire delle aree protette, nella nostra vita privata e in quella aziendale, dove la tecnologia non può entrare, non vogliamo che entri?
Incipit
Con questo numero inizio una nuova rubrica, in cui riporterò il primo paragrafo di un libro che sia attinente all’argomento del post. L’intento non è di spiegare o illustrare ma di accendere assonanze. A volte dunque lo commenterò, a volte lo lascerò parlare da solo. In questo caso, per coerenza, non posso che tacere.
Questo libro è la cronaca di una lotta tra due temperamenti, due coscienze e quasi due epoche. Si è conclusa, come era inevitabile, con uno sconvolgimento. Dei due esseri umani qui descritti, uno è nato per volare all'indietro, l'altro non poteva fare a meno di essere portato avanti. Arrivò un momento in cui nessuno dei due parlava la stessa lingua dell'altro, né racchiudeva le stesse speranze, né era fortificato dagli stessi desideri. Ma almeno è una certa consolazione per il sopravvissuto il fatto che nessuno dei due, fino all'ultima ora, abbia smesso di rispettare l'altro o di considerarlo con triste indulgenza.
Edmund Gosse, Father and Son
E ora un po’ di musica
La conoscete tutti questa canzone, ma questa versione è … magica. Da ascoltare in rigoroso, suggestivo, incantato silenzio.
Nella nuda luce dell’alba ho visto diecimila persone, forse di più. Gente che parla senza comunicare, persone che sentono senza ascoltare, persone che scrivono canzoni non condivise da alcuna voce; e nessuno di loro ha osato disturbare il suono del silenzio.