Lo Stregone dei Dati #039
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
«Ai giorni nostri, la parte peggiore del lavoro è ciò che capita alla gente quando smette di lavorare.»
G.K. Chesterton
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto del successo personale e di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.
Tempo di vacanze, tempo di tempo libero, tempo di tempo.
Il 96% delle famiglie italiane possiede una lavatrice. Ci ho pensato nei giorni di villeggiatura contraddistinti da caldo intenso, quando i lavaggi sembrano non bastare mai: cosa succedeva quando toccava lavare tutto a mano, sponde di torrente, lavatoi, cenere e spazzole di saggina?
La bella lavanderina
Certo è sempre aperta la via dell’asocialità, promossa e garantita da un muro olfattivo che repelle il resto del genere umano; altrimenti è necessario garantire l’igiene dell’abbigliamento, e questo per millenni non è stata cosa da poco. Le mani mangiate dall’acqua gelida e dalla liscivia; il ginocchio della lavandaia; la sindrome della lavandaia (o di De Quervain); poi nel 1945 nasce la Candy in quel di Monza; e negli anni ‘50 la lavatrice entra nelle nostre case.
Stiamo parlando di roba importante, per favore non distraetevi. Questo semplice elettrodomestico, solo lui, ha grandemente promosso l’emancipazione femminile e la parità di genere, liberando il tempo delle donne e dunque le donne stesse. Altro che belle lavanderine che lavano i fazzoletti, e altro che intelligenza artificiale, che la disparità di genere sembra addirittura promuoverla.
Lavatrici, lavastoviglie, aspirapolvere, scope elettriche, frullatori elettrici … il progresso della tecnologia e la diffusione di utensili, macchine e ausili meccanici, elettrici o elettronici portano con sé una progressiva liberazione del tempo: il tempo libero, il tempo liberato.
Il tempo del lavoro
Non è andata certo diversamente per il lavoro in fabbrica, nei campi e negli uffici. Nel 1899 una legge mette un limite di 16 ore allo sforzo giornaliero; nel 1910 alla FIAT si arriva a 10. Nel 1923 le ore settimanali diventano per tutti 8 giornaliere e 48 settimanali (essì, si lavorava anche al sabato). Il resto è cronaca, e già si parla di settimana lavorativa a 35, forse anche a 30 ore.
Per non parlare di giorni di ferie, ROL, ex festività soppresse. Se nei secoli è la Chiesa che ha promosso sempre nuove festività, per trattenere l’ingordigia dei datori di lavoro e dare respiro a mezzadri, braccianti e operai; nell’epoca moderna ci pensa la nuova chiesa tecnologica, che consente una costante crescita della produttività.
Più risultato con minor sforzo, crescono le quantità prodotte, diminuisce il tempo necessario per produrle. Più tempo libero per tornare a casa, dove pure avremo più tempo libero per via dell’effetto lavatrice.
Il tempo libero
Che bello! Finalmente un po’ di tempo per noi stessi, che dico, un sacco di tempo per noi stessi! Eoni spesi ad impiegare ogni stilla di energia e ogni minuto disponibile per accumulare scorte per l’inverno e assicurarsi la sopravvivenza, e adesso abbiamo il tempo per fare … un sacco di cose!
Già, ma cosa?
Il tempo rioccupato
Scartiamo da subito l’ipotesi per cui il tempo recuperato al lavoro e alle faccende domestiche sia dedicato all’elevazione dello spirito e dell’intelletto. Lo facevano gli antichi romani, secondo un concetto di “otium” attivo e contemplativo, la libertà dalle faccende quotidiane per istruirsi, discutere, contemplare, meditare ed elevarsi.
Da noi va diversamente. Solo un italiano su 6 legge almeno un libro al mese. Tre su cinque non leggono nulla, e questa quota è in aumento. Se poi togliamo la fascia di quelli che i libri li leggono perché vanno a scuola e devono fare i compiti, possiamo tranquillamente dire che leggere è un’attività fortemente elitaria.
Vogliamo parlare di teatro? Cinema di qualità? Riviste specializzate? Spiritualità?
Ma allora come utilizziamo il tempo libero?
Secondo una recente indagine, gli italiani ne impiegano la maggior parte … riposando. Fantastico!
Dolce dormire
Insomma, una volta che abbiamo ben dormito e poltrito, cosa potremo mai fare di tutto il tempo che rimane ancora a disposizione e che tra l’altro continua a crescere?
Ideona: la tecnologia ha per così dire creato il problema, utilizziamo la tecnologia per risolverlo!
Alla gente piace chiacchierare? Inventiamo gli asocial network, ore di futilità animate da una manciata di like distratti che ci illudono di interagire in modo significativo con altri esseri umani. Ci piace solleticare gli istinti? Inventiamo shorts, reels, filmati di pochi secondi, impegno mentale zero, sforzo fisico limitato al monotono movimento di un pollice - praticamente uno stato vegetativo appena al di sopra dell’encefalogramma piatto - poi riempiamoli di battute usa e getta di stand up comedian, stacchetti di e su adolescenti poco vestite, scene di violenza su uomini e animali. Ci piace vagare con la fantasia, sognare a occhi aperti? Inventiamo operatori streaming che propongano serie televisive a raffica, da divorare in una notte, totalmente simili l’una all’altra, confezionate secondo algoritmi che suggeriscono il giusto dosaggio di personaggi, vicende, dialoghi e colpi di scena, come un barman robotico.
Il digitale ha permesso questa occupazione del tempo libero, ma non basta. Una volta allestite le piattaforme e inventato modi efficienti di generare e distribuire i contenuti, possiamo inventare una tecnologia che inizi a creare queste cose al posto nostro. Così risparmieremo il tempo necessario per creare modi di permettere alle persone di utilizzare il tempo che abbiamo risparmiato. Un processo ricorsivo, la mano di Escher che disegna sé stessa che disegna sé stessa, risparmiare tempo per impiegare il tempo risparmiato a inventare nuovi modi di risparmiare tempo.
Fra non molto poi i Large Language Models sforneranno tonnellate di notizie, libri, serie, poesie, canzoni, sinfonie, di tutti i tipi generi e qualità, per versarli nell’imbuto del nostro tempo libero.
E’ un pericolo? E’ un pericolo. Immaginate di andare su un motore di ricerca per cercare un’informazione e rimanere invischiati in una marea di contenuti generati in modo automatico per intercettare quella domanda e farci una monetina tutte le volte che clicchiamo; contenuti tutti uguali, tutti superficiali, nulla di decisivo o neanche di utile. Immaginiamo che lo stesso metodo sia applicato alle notizie. Immaginiamo che venga applicato a film, tv, libri, video, immagini, musica.
Non è un grande sforzo di immaginazione. Ci credete che le piattaforme musicali sono invase da “canzoni” che riproducono silenzio; rumore bianco; registrazioni di lavatrici assortite; tanto per, qualcosa rimane sempre attaccato. Non sono gli sceneggiatori di Hollywood che devono essere preoccupati: siamo tutti noi!
Spirali
C’è da perderci la testa, in attesa di avere a disposizione delle macchine che lo facciano per conto nostro (dico perdere la testa, sono stufo di dovermene occupare personalmente).
E’ una spirale ossessivo compulsiva, un serpente che si ingoia partendo dalla coda, un’iniezione di steroidi nella costante ricerca dell’efficienza. Efficienza che ci permette di produrre modi di recuperare efficienza.
Ma cosa ce ne faremo mai di tutta questa efficienza?
Siamo maestri dei mezzi, ma abbiamo perso di vista i fini, per cui confondiamo gli uni con gli altri per inseguire i mezzi come fossero fini. La tecnologia, il digitale ci forniscono armi supreme per far esplodere il progresso, sempre più veloce, sempre più veloce, centrifughe nucleari impazzite, alla conquista di un tempo che non è più durata. Per poi ritrovarci a prendere tutto questo tempo e gettarlo via in modi futili e insensati.
42
C’è un tempo perduto, da recuperare? Nel disperato tentativo di dare un senso al tempo che tutto ingoia, Proust si dilettava con le madeleine, noi scarichiamo sui server fantastilioni di foto di pizze e piatti assortiti.
Come sempre, il problema non sono le risposte, ma le domande.
Per chi non ha letto la Guida dell’autostoppista alla galassia (ed è una mancanza grave) Douglas Adams immagina
[SPOILER ALERT]
che il genere umano, alla ricerca di un senso alla questione della vita, dell’universo e di tutto il resto, confezioni un super computer, chiamato Deep Thought (vi ricorda qualcuno?!?) in grado di rispondere agli interrogativi supremi. Dopo 7 milioni e mezzo di anni di elaborazione il cervellone sputa fuori la risposta che è … “42”. Ma questo non significa nulla! gli fanno notare. Certo, perché in realtà non c’era una vera domanda, è la domanda il problema, dovete lavorare sulla domanda. Bene, ma allora puoi aiutarci a formulare la Domanda Ultima? No, io non posso, ma posso costruire un computer ancora più potente che se ne occupi. Volete sapere come va a finire? Questa è un’ottima domanda.
E ora un po’ di musica
Tra tutte le domande che possiamo porci è sempre lei la più difficile.
Questo è il libro che non ho mai letto, le parole che non ho mai detto, la strada che non percorrerò mai. Questi sono i sogni che invece sognerò, la gioia che raramente si diffonde, le lacrime... le lacrime che versiamo.
Questa è la paura, il terrore, questo è quello che c’è nella mia testa. E questi sono gli anni che abbiamo trascorso e ciò che rappresentano. Ed è così che mi sento.
E mi chiedo il perché.