Lo Stregone dei Dati #037
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia e gestione aziendale. Per sviluppare l'azienda come una "data & technology company".
“Il sogno della ragione genera mostri.”
Francisco Goya
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto della competitività di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.
Vedi», spiegò, «io ritengo che il cervello di un uomo nel suo stato iniziale sia come una piccola soffitta vuota, e che tu debba riempirlo con i mobili che preferisci. Uno stolto prende tutto il legname di ogni sorta che incontra, in modo che la conoscenza che potrebbe essergli utile non trova posto o, nel migliore dei casi, viene confusa con un sacco di altre cose in modo che lui stesso ha difficoltà a posare le sue mani su di esso. Ora l'abile operatore è davvero molto attento a ciò che porta nella sua soffitta cerebrale. Non avrà altro che gli strumenti che possono aiutarlo a fare il suo lavoro, ma di questi ha un vasto assortimento e tutto nell'ordine più perfetto. È un errore pensare che quella stanzetta abbia pareti elastiche e possa dilatarsi in ogni misura. Puoi scommettere che arriverà un momento in cui per ogni nuovo pezzo di conoscenza che aggiungi, dimentichi qualcosa che sapevi prima. È della massima importanza, quindi, non avere fatti inutili che sgomitano contro quelli utili.» «Ma il Sistema Solare!» protestai.
Arthur Conan Doyle, “A study in scarlet”
Sherlock, oh Sherlock, quanto ci manchi! Il tuo autore, il tuo creatore, ti ha ucciso prematuramente, perché era stufo di te, ti vedeva come una distrazione da cose più importanti di cui scrivere … tipo lo spiritismo! Ma come è possibile che Arthur Conan Doyle, l’autore dell’emblema della razionalità, dell’efficacia del ragionamento, della potenza dell’approccio deduttivo, passasse il tempo in giro per l’Europa a parlare con veggenti e a partecipare a sedute spiritiche?
Nel 1799 Francisco Goya dipinge un’acquaforte con un nome che alla fine, dalle nostre parti, ebbe più successo del dipinto stesso: “El sueño de la razón produce monstruos”.
Qualche anno fa veniva citato a ogni piè sospinto. In realtà il successo del titolo e la quantità delle citazioni in cui fu ripreso dipende da un’errata traduzione, avvalorata dall’apparentemente omonimo dipinto di Renato Guttuso e diventata mainstream senza troppe discussioni. La traduzione esatta, limpida, lampante dallo spagnolo non è infatti “Il sonno della ragione genera mostri”, bensì “Il sogno della ragione genera mostri”. I mostri (come la strage di Bologna che diede lo spunto all’opera di Guttuso) non nascono quando la ragione non viene esercitata; ma quando viene esercitata in modo onirico, staccato cioè dalla realtà.
E’ tutto marketing
Quelli del marketing lo sanno bene, sempre pronti a farci sognare. E in fondo cosa sarebbe la vita senza un pizzico di marketing? Cosa sarebbe la vita delle aziende senza la giusta dose di marketing?
Iniziamo dal branding, cioè dal dare un nome alle cose. Fa la differenza? Fa la differenza. Quando usate le app per il dating cliccate più volentieri sul profilo di Jessica o di Giuseppina? Di Oronzo o di Ethan?
Ora, immaginiamo che negli anni si diffondano una serie di tecniche basate sull’applicazione della statistica e della matematica a problemi computazionali complessi che coinvolgono vaste quantità di dati e che queste tecniche, potendo usufruire della crescente potenza degli elaboratori di dati, siano impiegate in modo estremamente efficace per risolvere molti problemi pratici. Come chiameremo il complesso di queste tecniche? “Tecniche complesse per l’analisi di dati”? Naaahhhh “Computer based advanced analytics”? Sbadiglio. “Analisi computazionale evoluta”? Non andremo mai al telegiornale.
Ci sono! Chiamiamola … chiamiamola … aspetta che ce l’ho sulla punta della lingua … “INTELLIGENZA ARTIFICIALE”.
Fantastico, sei un genio assoluto, perché senti a me, finirà che invece di concentrarsi sulle tecniche e sul modo migliore di applicarle, si aprirà un vastissimo dibattito sul fatto che sia davvero una forma di “intelligenza”, e se può superare quella umana, e se ci guiderà all’estinzione e un mucchio di altre belinate.
Beh forse adesso esageri, non è che solo perché la chiamiamo “intelligenza artificiale” la gente pensa che stiamo davvero parlando di una forma di intelligenza, voglio dire, se la chiamavamo “artificial life” la gente mica stava lì a discutere se fosse davvero una forma di vita.
Caro amico mio, tu sei forte in matematica ma permettimi di dire che di marketing non capisci niente. Vedrai che, come diceva sempre l’amico Sherlock (a proposito, è un po’ che non lo vedo in giro), la gente riempie la testa di roba inutile dopo di che si dimentica di osservare e di tenere lo sguardo fisso sulle cose veramente importanti. E confonde la realtà con il nome, e il nome con la realtà.
Fa caldo
Dopo di che arriviamo ai giorni nostri, è arrivata l’estate e a sentire certi discorsi su quello che qualcuno ha deciso di chiamare “intelligenza artificiale” mi viene in mente quello che diceva sempre mia nonna, che quando c’è il sole bisogna sempre uscire all’aperto con il cappellino perché altrimenti ti si cuoce la testa e cominci a delirare.
Come quei due che han più soldi di zio Paperone e controllano quello che diciamo e pensiamo con il loro marketing e i loro social, eppure il mondo non gli basta, si annoiano e vogliono fare la sfida nella gabbia e darsele di santa ragione per dimostrare “chi è l’uomo qui”. La prossima volta che vuoi postare qualcosa di personale e di sentito su un social, pensa a chi stai consegnando i tuoi pensieri.
A proposito di “uomini veri”. Non so se avete seguito il nuovo #metoo che è scoppiato nel mondo della comunicazione italiana. Roba da non crederci. Pare che, per dirne una, agenzie famose ospitassero delle chat per soli uomini, che venivano usate per commentare in diretta le caratteristiche fisiche delle colleghe donne, tipo la collega fa la presentazione in sala riunioni e i colleghi maschi la ripassano per bene in diretta. Se non vi basta, trovate in rete denunce di molestie di ogni tipo. Se ancora non vi basta, sempre in rete troverete frasi che fanno arrossire anche uno stregone di esperienza come il sottoscritto, e ce ne vuole.
Ora, attenzione. Stiamo parlando del mondo della comunicazione, e qual è il trend attuale che contraddistingue il mondo della comunicazione d’impresa?
Rullo di tamburi, un attimo di suspense … La sostenibilità! L’ESG! Il purpose! L’inclusione!
Cioè, le stesse agenzie (mica tutte, certo) che vengono pagate per costruire l’immagine di aziende impegnate nel sociale, schierate a difesa dell’inclusione, determinate a rendere il mondo più bello; in quelle stesse agenzie il creativo di turno, fresco di slogan inneggiante alla difesa del genere, bandiere arcobaleno e tutto il resto, si siede in braccio alla dipendente e le accarezza le cosce davanti a tutti, cià fammi vedere i risultati del focus group mentre mi sollazzo, io uomo, maschio, dominatore.
Potrei continuare a lungo ma non so più dove mettere lo schifo. Nomi e realtà, definizioni e vita, una crasi assoluta, mai così distanti come nell’era delle magnifiche sorti e progressive.
Le parole sono importanti
In un mondo di dati e tecnologia, di algoritmi, app e programmi, di bit, byte e algidi linguaggi di programmazione, nell’apparente trionfo della tecnica applicata, la ragione prende il volo, dimentica delle proprie caratteristiche e dei propri limiti. Comincia a sognare, in un mondo credulone in cui un nome efficace viene confuso con la realtà, e una favola ben raccontata viene creduta anche quando nasconde il marcio più sconsolante.
Anche il mondo della tecnologia, così mi pare, è portato a sottovalutare questi aspetti. Cosa sarà mai un nome, un modo di chiamare una cosa? Dopo tutto se l’avessero chiamato “Monty” invece di “Python” non sarebbe la medesima cosa? Passi per Monthy e Python, ma in altri casi non è così. I nomi, le parole, si portano dietro mondi di significato, vissuto, storie, allusioni e presupposti impliciti. I nomi costruiscono una narrazione relativa a un certo oggetto, una narrazione densa di significato, che poi influenza le nostre scelte e i nostri comportamenti.
La tecnologia dovrebbe aiutarci, permettendoci di posizionare fuori dalla casa della nostra mente le cose meno rilevanti, quelle che non ci servono, mentre noi ci concentriamo su ciò che è essenziale. Invece la tecnologia stessa moltiplica l’irrilevante, ci fa smarrire il senso delle cose in una giungla di inezie e irrilevanza, dopo di che basta un nome sbagliato, che sia scelto per ingenuo dilettantismo o per astuzia, e la realtà fa cortocircuito.
“La realtà come costruzione sociale” è il titolo di un vecchio e prezioso libro di sociologia culturale. La narrazione dominante oggigiorno è quella della tecnica inappellabile; della “scienza” invocata come risposta sicura ai problemi; del progresso buono di per sé. Ma siamo esseri umani e viviamo di significati, nel senso che per noi le cose, anche quelle più banali e apparentemente oggettive, non esistono senza significato. E questo non fa sconti neanche all’informatica e alla data science e all’”intelligenza artificiale generativa”. Intelligenza de che? Generativa de che?
Bah. In fondo in fondo, la felicità è un bicchiere di vino con un panino.
E ora un po’ di musica
Conoscevo una ragazza e avrei giurato che il suo nome era Veronica; ma ormai non ne è sicura neanche lei. Veronica si siede sulla sua sedia preferita, tranquilla e immobile. La chiamano sempre con un nome che non è mai quello giusto; ma se non lo fanno, allora nessun altro lo farà.
Lei però risponde sempre: "Puoi chiamarmi come ti pare, ma il mio vero nome è Veronica!".