Lo Stregone dei Dati #036
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia e gestione aziendale. Per sviluppare l'azienda come una "data & technology company".
«Progresso tecnologico non c’è dubbio che ci sia - riflette, spiazzando il pubblico che non abbandona cortile Federico II nonostante qualche goccia di pioggia -, ma il punto fondamentale è che questo progresso, quello che stiamo vedendo negli ultimi trent’anni, è molto più debole di quello occorso un secolo fa. Le tecnologie introdotte fra diciannovesimo e ventesimo secolo sconvolsero completamente la vita delle persone. Pensiamo all’elettricità, alla chimica, alla scoperta dell’energia nucleare. Oggi la crescita è di un quinto inferiore rispetto a quel periodo, e le cose che oggi esistono più o meno esistevano già trent’anni fa, anche se sono molto migliorate. Forse il periodo di incubazione è più lungo»
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto della competitività di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.
Che cosa? Ma stiamo scherzando? Devo dire che quando ho letto la citazione con cui ho aperto questo numero dello Stregone mi sono smarrito per un attimo.
Sono abituato a pensare in termini di nulla-sarà-più-come-prima, di realtà esponenziale, disruption, singolarità, super-umanesimo digitale, e di colpo viene qui uno a dirmi che in realtà tutto ciò cui stiamo assistendo è una frazione dello sviluppo cui sono stati esposti i nostri bisnonni? Un quinto, per l’esattezza? Un banale mediocre 20%?
Certo se quel “qualcuno” ha un master all’LSE, ha ricoperto importanti incarichi al centro studi di ENI e Banca d’Italia, si è distinto in una lunga e gloriosa esperienza all’FMI e si chiama Carlo Cottarelli … non è che abbiamo peccato di una singolare forma di superbia?
Et lux fuit
L’elettricità è una delle tre rivoluzioni citate dal Carletto da Cremona. Per riflettere sull’argomento prendiamone un di cui, l’illuminazione. Non dunque l’impatto intero della diffusione dell’elettricità, ma quello della diffusione dell’illuminazione in ambienti interni ed esterni grazie alla stessa elettricità.
L’umanità ci mette 50.000 anni a passare dal falò alla lampada ad olio (700 a.C.); altri 300 annetti per inventarsi le candele1. Finalmente nel 1879 arriva la lampadina a incandescenza a filamento di carbonio, come parte di un sistema elettrico che ne permette la produzione industriale e l’esercizio sicuro e diffuso. Di lì in pochi decenni avviene la trasformazione. Negli anni ‘40 l’intera Germania risulta connessa alla rete elettrica. Ci sono voluti dunque 60 anni per arrivare alla piena diffusione; se pensiamo che il primo computer è stato inventato nel 1833 possiamo iniziare a mettere le cose in prospettiva.
L’illuminazione diffusa, perché ce ne importa?
Prima di tutto non c’è più puzza di petrolio e sego dappertutto, e scusate se è poco. Nelle fabbriche si introducono i turni di lavoro notturni. Si può tranquillamente leggere, scrivere, cucire, filare, lavare i piatti dopo il tramonto. Si può girare per strada con maggior sicurezza.
“Cosa facciamo stasera” è una domanda diffusa oggigiorno in tutte le case, tra tutte le compagnie di amici, le coppie e le coppiette. Cocktail bar? Cinema? Passeggiata sui Navigli con gelato? Pizza? Risiko con gli amici? Questa domanda adesso è normale adesso; non lo era cento anni fa. Insomma, si dilata la parte della vita aperta alle varie attività e la produttività decolla. La vita, il mondo sono diversi.
Di più. L’umanità si è evoluta temendo la notte. La notte è il non luogo delle tigri con i denti a sciabola, del peccato, della tentazione, del pericolo, dell’angoscia, dei briganti e dei ladri.
Mi permetto di citare il verso di un salmo: “L'anima mia attende il Signore più che le sentinelle l'aurora”. Oltre il significato religioso c’è una traccia dolente dell’esperienza delle sentinelle schierate a difesa di città e accampamenti nel buio totale di una notte senza traccianti, torce o riflettori. Come passavano la notte? Qual era il terrore con cui affrontavano il buio in spasmodica attesa della luce dell’alba?
“Terrore” è la parola giusta. In medicina è censito il terrore notturno, corrispondente al latino pavor nocturnus. Dopo poche ore dall’inizio del sonno ci si sveglia agitati a causa di terrificanti allucinazioni avute in sogno. Penso molti di noi l’abbiano sperimentato; è un flash back di quello che provavano i nostri antenati, tesi ad ascoltare i rumori che venivano dal vuoto di un nero profondo.
La lampadina rende la notte abitabile; trasforma il non luogo in luogo. Addirittura le generazioni più giovani la preferiscono al giorno (con conseguenze nefaste, ma questo è un altro discorso).
Di fronte a una trasformazione di questo tipo, che ridefinisce i luoghi e i tempi tipicamente abitati dall’umanità, cosa saranno mai qualche social network e il sistema su cui sto scrivendo questo post, che hanno semplicemente sostituito la vasca in piazza e la partita a scopone scientifico all’osteria?
Reazioni
Davvero l’enorme progresso del digitale cui assistiamo è una frazione di quanto sperimentato dall’umanità in occasione di altre rivoluzioni tecnologiche? L’ipotesi mi intriga ma francamente non ho gli strumenti per decidere. Devo fidarmi della fonte e magari buttare un occhio su qualche serie storica. Una tra tutte, quella più semplice, quella relativa alla crescita dell’umanità nei secoli, parrebbe essere coerente con quanto abbiamo detto. L’impennata inizia e prosegue ben prima dell’arrivo di Bill Gates e Elon Musk.
Continuità
Tutte le metafore che utilizziamo per comprendere la rivoluzione digitale sono improntate alla discontinuità, che si parli di singolarità o di disruption o di test di Turing. La narrativa cui ci appoggiamo normalmente per raccontare quello che sperimentiamo descrive una differenza di genere, una totale soluzione di continuità che rende il presente imparagonabile con quanto lo ha preceduto. Nuove regole dunque, nuovi mindset per una nuova realtà. E se così non fosse? Se questa fosse una delle enne rivoluzioni, e neanche la più radicale?
Vado in ordine sparso.
Quando ero “ciovane” si parlava di new economy che obbediva a leggi diverse da quella della old. Per dire, non era necessario generare profitto per giustificare l’esistenza di un’azienda, si preferiva parlare di generazione di valore. Ne è seguita una serie di rovinosi fallimenti, per cui possiamo dare per assodato che conto economico, stato patrimoniale e flussi di cassa possono stare al loro posto.
E la normativa? I sistemi di AI generativa fanno largo uso di contenuti a prescindere da chi li ha prodotti o creati, si preoccupano poco dell’esattezza di quanto riportano, e si prestano in modo tanto semplice quanto potente ad essere utilizzati per scopi illegali o illegittimi. No worry, non ci sarà bisogno di inventarsi nuove regolamentazioni etiche per controllare il potere dell’AI, ci penseranno gli avvocati che già adesso stanno affilando i coltelli e preparando gli atti da depositare in cancelleria. Per i lawyers la rivoluzione digitale è un residuo di cibo da pulire con lo stuzzicadente, what’s the problem, dov’è il problema? E anche su questo fronte possiamo contare su una certa continuità.
La perdita di posti di lavoro? Prima di tutto, fa specie ascoltare dichiarazioni preoccupate da parte di chi non esita un secondo a sgonfiare le aziende. Dopo di che la costante assodata di tutta la storia dell’umanità ci insegna che l’innovazione distrugge jobs, ma ne crea di più, solo diversi. D’altro canto mentre nell’anno 1.000 non arrivavamo a un miliardo, adesso siamo a sette e la maggior parte della gente lavora, con un tasso di disoccupazione che nei paesi avanzati (che dunque fanno più largo utilizzo di tecnologie moderne) è ferma secondo l’OCSE al 4,8%. Non ci vuole uno YouTuber per capire che dobbiamo agevolare i processi di riqualificazione, e per il resto non preoccuparci più di tanto.
Matematica? Statistica? C’è bisogno di nuovi strumenti, diversamente concepiti?Tutt’altro: molti algoritmi su cui si basa l’AI moderna nascono addirittura in era pre-PC.
Il Gattopardo
Tout change, rien ne change.
Diffidate, diffidiamo di chi ci racconta che è cambiato tutto e che presenta la rivoluzione come un assioma incontrovertibile. E’ diventato un po’ un mestiere, o comunque un tratto somatico che spesso sostituisce la mancanza di idee. Basta scrivere un post su un qualunque argomento vaneggiando su come tutto è diverso, che si porta a casa il risultato. Basta presentare una qualunque invenzione, per quanto nefanda, come tale, invenzione, modernità, progresso, per giustificarla.
Altri ancora agitano spettri vari, tra cui addirittura (allacciate la cintura e chiudete il tavolino di fronte a voi) quello dell’estinzione del genere umano per colpa dell’AI. Ma tu pensa! Saranno mica specchietti per le allodole, per distrarci da altri pericoli, meno apocalittici ma ben più probabili e commerciabili?
Penso che se iniziassimo a comprendere quello che sta succedendo all’interno di un quadro che ammette delle vibrazioni cosmiche di fondo costanti, a partire dalla natura dell’essere umano e al modo in cui guarda alle cose, alla natura e alla vita, faremmo un buon servizio a noi stessi e gestiremmo meglio anche questa ennesima rivoluzione che segna il cammino dell’umanità.
Ennesima, appunto. Dopo tutto, volete mettere l’emozione della prima volta in cui abbiamo provato Chat-GPT, con quella del nostro zio lontano che strofinando due stecchi secchi o percuotendo due pietre, vide scaturire una scintilla ad illuminare il buio della notte? E’ successo tanti tanti anni fa, nello sconfinato scenario della savana, dove ora c’è il deserto del Teneré, che in arabo significa “il nulla”.
E ora un po’ di musica
Se ti dicessi che non possiamo arrivare più in alto sarei un falso e un bugiardo. E’ finito il tempo di esitare, non c’è più tempo per crogiolarsi, se non ci muoviamo possiamo solo perdere e trasformarci in una pira funeraria.
Incendia la mia notte, accendi il mio fuoco.
Giusto per curiosità: il fiammifero viene inventato nel 1826, solo duecento anni fa.