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Lo stregone dei dati #030
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia e gestione aziendale. Per sviluppare l'azienda come una "data & technology company".
Ti stai sbagliando, chi hai visto non è, non è Francesca.
(Mogol)
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto della competitività di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.

“Queste piattaforme guadagnano miliardi e sono ancora restii a pagare qualcosa, ma gli autori vivono grazie al diritto d’autore e quindi considero che la nostra battaglia è giusta, è una battaglia di civiltà. Sacra come quella del copyright. Meta voleva farci l’elemosina. Ma quanto abbiamo chiesto era anche meno di ciò che meritiamo, e allora Facebook e Instagram faranno a meno della musica italiana. Non possiamo mica regalare soldi ai miliardari”.
Accidenti che carattere questi artisti! Le parole appena riportate sono il commento del presidente onorario della Siae, Mogol, al mancato accordo con Meta per l’utilizzo delle canzoni italiane su Facebook e Instagram.
La conseguenza immediata è stata la rimozione del catalogo SIAE dai social. Operazione non semplice in quanto richiede una tecnologia di riconoscimento del pezzo di cui evitare la pubblicazione, e se la tecnologia non c’è non si inventa in pochi giorni. Peraltro non tutti i brani di artisti italiani sono tutelati da SIAE per cui c’è il rischio di eliminare chi non c’entra.
Da qualche giorno dunque, se volete utilizzare un pezzo italiano per fare da colonna sonora alla vostra fantastica story, beh, non è possibile.
Diritto d’autore
Una volta la ricchezza era tangibile. Eri ricco perché possedevi case, terreni, tessuti preziosi, spezie raffinate, vacche. Tutta roba che è relativamente facile proteggere: posso erigere steccati, costruire porte e cancelli, assoldare guardie. Del diritto d’autore, invece, non importava niente a nessuno, roba per artisti, che attraverso i millenni sono sempre stati poveri e maltrattati. Ti piace una canzone? Cantala! Ti piace un libro? Copialo!
Il problema nasce quando il collega stregone e vecchio compagno di scorribande Gutenberg, in quel di Magonza, si inventa la macchina da stampa a caratteri mobili.
La storia è interessante e faccio una pausa per raccontarla. Il povero Giovanni si fa finanziare da un orafo, perché non ha un soldo bucato. Il socio intuisce che quell’idea può andare lontano, fa fallire l’inventore e si tiene l’invenzione. Giovanni non fa in tempo a cominciare da capo che arrivano gli svedesi e conquistano la città. Gli allievi di Gutenberg si disperdono in altre città, ma portano con sé l’innovazione e la disseminano.
Cosa impariamo da questa storia?
Attenti al capitale di rischio e ai venture capitalist, spesso più capitalist che venture
Gli eventi apparentemente catastrofici e disruptive in realtà hanno spesso un ruolo di accelerazione dell’innovazione
Torniamo a noi. Con la stampa di larga serie diventa semplice ed economico fare molte copie di un’opera, una scoperta che preconizza l’avvento del digitale. Quello che prima era facile proteggere diventa fragile ed esposto, ma ormai è tardi. Le porte delle stalle si sono spalancate, i buoi fuggono. Nessuno sa che pesci pigliare, proprio come adesso, e cosa si fa in questi casi? Si fa una bella riunione, o alla peggio una legge! La prima è del 1710, in Great Britain; in Italia ci si arriva cent’anni più tardi.
Da lì tutto tutta una roba buttata giù per terra... tipo farina, però essa è sabbia, ma non messa giù a mucchi, tutta spianata bene sinistra, destra, ehm... tipo spiaggia.
Insomma un gran casino, leggi, convenzioni internazionali, bit torrent, emule, pirateria, cause, denunce, tutta una sarabanda attorno al povero diritto d’autore.
Punti di vista
Premetto che sono uno Stregone di vecchio stampo, pure un po’ pedante e secchione , per cui personalmente sono a favore di un diritto d’autore tanto equo quanto efficace, e tendo a rispettare le regole stabilite.
Detto questo, vediamo un po’ di punti a favore e contro.
Senza difesa della proprietà intellettuale non c’è progresso. Chi spenderà i soldi per sviluppare cose nuove se poi non ha speranza di recuperare l’investimento?
Il diritto d’autore danneggia il progresso, perché limita artificialmente l’utilizzo di nuove scoperte e rende impossibile o poco conveniente utilizzarle per ulteriori progressi. E in ogni modo l’Open Source ha dimostrato che il progresso si promuove più efficacemente attraverso sistemi collaborativi e aperti.
Law & order: non è che uno si sveglia alla mattina e usa la roba degli altri senza neanche chiedere il permesso!
Il diritto d’autore finisce per trasformarsi in una rendita di posizione. Chi ne gode ne approfitta per imporre prezzi spropositati, e chi possiede i diritti di utilizzo in realtà non è chi dovrebbe usufruirne; gli artisti alla fine soccombono allo strapotere delle case di produzione e degli editori.
Senza una chiara determinazione dei criteri e delle licenze di utilizzo si sfalda tutto il gioco economico. L’economia è ormai largamente immateriale, se non sono chiare le regole di ingaggio siamo di fronte al disastro.
Ormai siamo al ridicolo. C’è chi ha cercato di brevettare la forma delle icone sullo schermo di uno smartphone. Quasi quasi deposito i vecchi proverbi che mi diceva mia nonna, tipo “se lo hai dimenticato vuol dire che non era importante” piuttosto che “mi fai scappare la pazienza dalle mani”
Se ci si mette anche l’Unione Europea, stiamo freschi (non è un grande argomento, ma è piuttosto comune)
La lepre e il cacciatore
Gino Bramieri raccontava una barzelletta (che peraltro adesso sarebbe totalmente inaccettabile), sul cacciatore che continua a mancare la lepre, e più spara e più lei sfugge, fino a che posa il fucile ed esclama “porca vacca quando fanno così le ammazzerei”.
Ci sforziamo di definire i confini della proprietà intellettuale adeguandoli ai progressi dei nuovi assetti promossi dal digitale; ma la realtà scappa via mentre la rincorriamo.
Continuiamo ad estendere il periodo di protezione, che adesso negli Stati Uniti dura fino alla morte dell’autore più 70 anni; se il lavoro è anonimo la tutela si estende per i 120 anni dalla creazione (se c’è un volontario che mi spiega quest’ultima, apprezzo; se il lavoro è anonimo, a cosa serve proteggerlo?).
Ci avvitiamo a discettare di regole per regolare in qualche modo pure il lavoro dell’intelligenza artificiale generativa, che di nuovo spostano i confini di quello che dobbiamo gestire. Alcune piattaforme rivolte alla generazione di immagini hanno pagato i diritti alle librerie su cui si sono addestrate; quelle per la generazione dei testi non hanno fatto altrettanto. Non è corretto pagare i diritti d’autore a chi ha prodotto la vastità del materiale utilizzato per addestrare i sistemi? Se chiedo a DALL-E 2 di generarmi un quadro nello stile di Umberto Boccioni, non dovrei pagare qualcosa agli eredi?
Intanto il mondo va avanti e il 40% (quaranta per cento) degli italiani usa tanto serenamente quanto illegalmente contenuti piratati, peraltro alimentando e finanziando la delinquenza organizzata.
La soluzione
Questa cosa è cresciuta proprio storta e c’è poca speranza di raddrizzarla. Una regolamentazione completa ingesserà il mercato e rallenterà lo sviluppo. Una totale deregolamentazione farà fuggire gli investitori e priverà le persone del giusto merito per la propria fatica. Ci sono soluzioni intermedie, l’open source e i Creative Commons, aiutano ma non risolvono.
E non sarò certo io, oggi, a proporre la genialata che risolve tutto. Mi limito a proporre un modo diverso di guardare alla questione.
L’invenzione in sé non conta nulla, senza la sua applicazione. Qualcuno ha detto che un libro viene riscritto ogni volta che viene letto. I nuovi sistemi di intelligenza generativa sono perdite di tempo, se non si individuano (come peraltro sta succedendo) casi d’uso che li rendano utili. I social network sono stati una rivoluzione e hanno introdotto un nuovo modo di stare al mondo; ma nella maggior parte dei casi il modo in cui sono stati utilizzati hanno peggiorato il mondo invece di renderlo migliore.
Insomma, la vanga è importante, ma è la buca che ci scavi che fa la differenza.
La prima versione di “Non è Francesca”, una delle canzoni più famose della storia della canzone italiana, è del gruppo dei Balordi. Qualcuno se li ricorda? Fosse stato per loro, nessuno conoscerebbe il pezzo. Poi Lucio Battisti ha deciso di diventare esecutore, oltre che autore, e il resto è storia.
Chi applica ha bisogno di idee, chi ha le idee ha bisogno di chi le applichi. Vale in tutti i campi di protezione della proprietà intellettuale e il sistema che regola il diritto d’autore dovrebbe incoraggiare questa dinamica, mentre in realtà la ostacola.
Forse (dico forse) la tecnologia, che continua a rinnovare il problema e renderne più ardua la soluzione, può essere la risposta. Non è impossibile identificare in modo certo e persistente gli oggetti creati, che siano canzoni, algoritmi o piattaforme. Si potrebbe ad esempio utilizzare la blockchain, un’altra invenzione “mai pervenuta”, come si diceva una volta per i risultati del Lotto. I token che ne risultano potrebbero essere gestiti su marketplace dinamici, dove si conteggiano e si regolano in automatico gli utilizzi, compensando chi utilizza maggiormente una certa opera e chi la fa evolvere o trova utilizzi alternativi. Potremmo addirittura riflettere il tutto in un sistema di valore rappresentato da una moneta, che compensa e incentiva allo sviluppo delle invenzioni e del modo in cui vengono utilizzate, fomentando l’economia della creatività.
Sono Stregone, non Indovino, faccio fatica a mettere a fuoco questo meccanismo nella mia sfera di cristalli, sembra troppo complesso. Complesso? Mentre scrivo ha appena aperto la Borsa, che funziona proprio in questo modo.
E ora un po’ di musica
Da un commento su YouTube, dove il pezzo conta poco più di 5.000 visualizzazioni.
“Che occasione che si sono persi... Gli unici a non trarre giovamento dalla possibilità di poter incidere in anteprima una canzone di Battisti. E una delle più belle, per giunta. Peccato, perché i Balordi erano un gruppo molto interessante”.