Lo stregone dei dati #025
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia e gestione aziendale. Per sviluppare l'azienda come una "data & technology company".
Se sembra facile, è dura. Se sembra difficile, è fottutamente impossibile.
(Arthur Bloch)
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto della competitività di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.
Lingue e linguaggi
Uno dei trend tecnologici più in vista del momento è il cosiddetto low coding/no coding.
Stiamo parlando della progressiva diffusione di piattaforme che permettono di sviluppare software pur senza padroneggiare un linguaggio di programmazione. Il più delle volte si utilizzano componenti grafiche che rappresentano le diverse funzioni; invece di scrivere righe di linguaggio, si tracciano frecce che uniscono le diverse sagome. La logica da applicare è la stessa, e deve essere conosciuta e compresa; ma la complessità legata alla conoscenza di uno specifico linguaggio viene assorbito dalla piattaforma, che si fa carico di tradurre gli artifici grafici predisposti dall’utente nelle corrispondenti righe di codice.
A pensarci bene è simile all'evoluzione recentemente annunciata da Skype: noi parliamo nella nostra lingua, lui si fa carico di tradurre quanto diciamo in quella di chi ci ascolta, in tempo reale e simulando anche il nostro timbro di voce. È sistema a farsi carico di vocabolario, sintassi e grammatica della lingua straniera che non conosciamo. Certo, il nostro pensiero deve essere esposto nella forma più corretta; se non abbiamo niente da dire, o se quello che abbiamo lo diciamo in modo confuso o contraddittorio, non c’è traduttore che tenga. Di conseguenza la mancanza di idee e la confusione mentale resteranno ad affliggere per molto tempo le vicende della razza umana, non c’è tecnologia che tenga e a questo dobbiamo rassegnarci.
Games children play
Tra le varie piattaforme low coding/no coding ricordiamo Scratch, indirizzato ai bambini per permettere loro di avvicinarsi allo sviluppare software e alle logiche della programmazione, prima di essere in grado di apprendere gli specifici linguaggi. Scratch è dotato di un’interfaccia, di un aspetto particolarmente giocoso, immagini da fumetto, toni pastello.
Proseguendo con giochi e bimbi va detto che Minecraft, uno dei grandi successi degli ultimi anni nel settore video games, segue una logica simile. Non è un gioco già pronto, ma non è neanche un linguaggio che permette di crearne. E’ una sobria, forse elementare piattaforma che consente di disegnare mondi interi attraverso la combinazione di elementi grafici semplici.
Ovviamente non c’è solo roba per bambini; piattaforme come Knime restituiscono anche a chi non frequenta le librerie di Python la capacità di gestire progetti e applicazioni di intelligenza artificiale. Provare per credere (il vostro Stregone ha provato, ed è rimasto molto compiaciuto).
Low code-ization
Sembra dunque che questa corrente sia piuttosto ampia e robusta, investando altri ambiti al di là dello sviluppo software.
La diffusione di questo approccio apre una serie di interessanti domande sul nostro futuro. Finora lo sviluppo della tecnologia è stato frenato e condizionato da un accesso ristretto alle competenze; problema tipico, come abbiamo appena considerato, di tanti ambiti del sapere umano. Non tutti sono in grado di sviluppare software, di fatto significa appunto imparare una lingua straniera; dire “the cat is under the table” è alla portata di molti, ma padroneggiare un diverso idioma richiede anni di applicazione.
Nell’informatica questo sta addirittura provocando un problema crescente di scarsità: su molti mercati non si trovano programmatori a pagarli oro.
Cosa succede invece quando le leve che permettono di agire sulla realtà vengono restituite alla massa?
Il futuro dell’informatica
Quale sarà l’effetto della democratizzazione dell’informatica? Quel roseo futuro in cui ciascuno di noi, o molti di noi, saranno in grado di programmare a volontà? In cui il direttore vendite sarà in grado di predisporre impromptu un algoritmo predittivo che gli consente di esaminare le conseguenze delle sue scelte in termini di assetto della rete? Quando il direttore finanziario guiderà le sue scelte in termini di pagamento fornitori attraverso un sistema di allocazione dinamica dei flussi di cassa da lui stesso disegnato? E la madre o il padre di famiglia potranno predisporre real time le statistiche sulla spesa al supermercato, ottimizzando le scelte in relazione al regime alimentare scelto?
Quando si vuole prevedere il futuro è sempre utile guardare a settori magari molto diversi, ma che tempo hanno attraversato dinamiche simili.
Musica, maestro
Una volta, volevi fare musica, dovevi sapere suonare uno strumento, fosse chitarra, pianoforte o voce. Non solo. Per suonare, comporre o arrangiare era preferibile passare da solfeggio, solfeggio cantato, lettura a vista, teoria, armonia, contrappunto, improvvisazione e altro ancora. Dopo di che ci sono tanti grandissimi musicisti che non sanno leggere la musica, ma che hanno comunque una grande conoscenza dello strumento e della musica in generale, sia pure in modalità autodidattica.
Poi arrivano sul mercato piattaforme quali Cubase e Ableton Live, e tutto cambia.
Per chi non li conosce questi sistemi permettono di organizzare una serie di elementi musicali nel tempo ( le varie sezioni di una canzone) e nello spazio (gli strumenti da suonare contemporaneamente) in una maniera semplice, grazie a una grafica per righe (lo spazio) e colonne (il tempo). Trascino suoni, ritmi, campioni scelti da librerie musicali in un sistema di righe e di colonne, li adatto, li modifico in punta di mouse (grazie al protocollo MIDI, ma non divaghiamo), schiaccio play e risuona la musica, la mia musica.
Chiunque, dico chiunque, anche chi non ha mai toccato uno strumento, anche chi è stonato, può sviluppare la sua creazione.
Di fatto una parte significativa dei rapper trapper hip-hopper in circolazione su Spotify non sanno suonare assolutamente nulla. Sanno cantare? Come vedremo tra un attimo, le forme musicali hanno accolto questa evoluzione; basta saper parlare, questo sì.
La musica come l’informatica
La musica come l’informatica: vengono abbattute le barriere legate a una specifica abilità tecnica e chiunque è in grado di sviluppare, di creare.
Cosa è successo alla musica e come questo ci può aiutare a prevedere cosa succederà nell’informatica?
Il primo effetto è di quantità. Se chiunque può produrre musica, una grande quantità di musica verrà prodotta. Ogni giorno vengono aggiunti su Spotify 60.000 pezzi; sono 22 milioni all’anno. Purtroppo un corollario è che lì dentro potrebbe esserci un nuovo Bach, non se ne accorgerà nessuno. Urge investire su sistemi per discriminare la musica di qualità, come il software buono da quello cattivo. Difficile nella musica, che ha una componente di gusto ineliminabile. Più facile nel software, dove è possibile organizzare la valutazione attorno a variabili tecniche. Peraltro alcuni di questi strumenti già esistono.
La musica stessa è cambiata come conseguenza di questa evoluzione low/no. La parte armonica si è semplificata, il cantato lascia spazio al parlato (se ci pensiamo però non c’è nulla di nuovo - anche la lirica ha sempre dato grande spazio ai recitativi), le rime sono prevalentemente baciate, i testi lunghi, invasivi, recitati a filastrocca. Se ciascuno può fare musica, e la fa, la musica stessa tende a cambiare, concentrandosi su forme più semplici e una media, e una mediana, a gravità più bassa; dopo di che il gusto si adegua, e alla fine ci piace quello che in fondo ci abituiamo ad ascoltare. Possiamo dunque prevedere che nel futuro abbonderanno software “basici”? Se è così, c’è un modo di inventare un’architettura che consenta loro di interagire per formare configurazioni più complesse? Perché di questo ci sarà bisogno sempre, sistemi che siano in grado di padroneggiare una realtà che non manca mai di complessità.
[DISCLAIMER: Per quanto riguarda la musica il vostro Stregone non sta esprimendo giudizi, i gusti sono gusti ma come diceva Duke Ellington esistono solo due generi di musica, quella buona e quella cattiva. I migliori esempi del genere ci cui siamo parlando non sono per nulla banali e sanno anche costruire una complessità attraverso la combinazione di elementi elementari, à la Minecraft.]Cosa succederebbe se tutti questi music maker indipendenti, oltre alla gioia di potere creare in proprio (che di per sé è un valore) potessero irrobustire la loro base di competenze, imparando teoria, armonia etc. non sto qui a ripeterlo? Quanto più bello diventerebbe il mondo intorno a noi? Come possiamo far sì che il filone del low coding/no coding spinga verso la produzione diffusa di software DI LIVELLO? Questo significa conoscere le logiche che guidano una programmazione efficace; comprendere il significato e l’utilità dei vari algoritmi di AI; operare in termini di ecologia dello sviluppo, se vogliamo dirla difficile. In sostanza, invece di rassegnarsi ad assistere alla proliferazione di software la cui qualità media verrà irresistibilmente trascinata verso il basso (cosa che francamente contraddistingue moltissimi dei 60.000 pezzi musicali caricati ogni giorno su Spotify), come potremo sfruttare questa inedita opportunità per fare un salto di enne ordini di grandezza nell’efficacia con cui utilizziamo il digitale per migliorare il mondo intorno a noi?
E ora - ancora - un po’ di musica
La democrazia, diceva Churchill, è la forma peggiore di governo, a parte tutte le altre. Quando si democratizza un settore ne succedono di ogni, ma alla fine è sempre meglio dei sistemi verticistici e oligarchici, comprese le tecnocrazie verso le quali sembriamo irresistibilmente attratti.
Come passare dal meno peggio al meglio? Ce lo ricorda un sommo poeta, cui sono molto affezionato.
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche avere un'opinione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione