Lo stregone dei dati #022
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, informazioni e tecnologie trasformative. Per gestire l'azienda come una "data & technology company".
E quando dico '"lavoro" non penso ad una fatica, ad un supplizio che uno deve sopportare dalla mattina alla sera per rendersi indipendente dal punto di vista economico, ma ad una opportunità che Dio ci ha offerto per dare più senso alla nostra esistenza. Ricordatevi quello che vi dico: una cosa è "fare" il tabaccaio, e una cosa è "essere" tabaccaio.
Luciano de Crescenzo
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del tesoro nascosto della competitività di impresa. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono il risultato dell’applicazione delle tecnologie digitali all’universo di dati che ci circonda.
9 to 5
Il lavoro è nato a domicilio.
Per lunghi millenni, non si è mai neanche concepita la distinzione tra posto di lavoro e abitazione privata. Il contadino coltivava il campo di fronte a casa e cresceva gli animali nella stalla al pianterreno o nell’aia. L’artigiano aveva la bottega fronte strada e la stanza da letto al piano superiore. Per quanto riguarda il bagno era molto più semplice, in campagna non era un problema mentre in città si usavano dei vasi, il cui contenuto veniva poi rovesciato dai piani superiori in strada - da questo viene la regola di cortesia di lasciare alle signore la parte interna del marciapiede, quella più protetta dalle precipitazioni. Nobili e signori facevano tutto in un’unica stanza, da una parte il letto, dall’altra lo studio dove trattavano gli affari e ricevevano i questuanti, in mezzo una semplice tenda.
Dopo di che arriva la rivoluzione industriale, basata sulla produzione centralizzata dell’energia. La macchina a vapore fa girare un asse che mette in movimento macchine e apparecchi. La conseguenza necessaria è che chi lavora a quelle macchine deve stare nel medesimo posto, per definizione distinto dalle abitazioni di ciascuno. Nasce il lavoro centralizzato.
E’ successo poco più di trecento anni fa, un battito di ciglia, e sembra ieri. Fast forward ai giorni nostri. La gran parte della mia più che trentennale vita di lavoro è stata spesa secondo il seguente schema:
sveglia presto la mattina
caffè, colazione, abluzioni, barba, vestizione, etc.
verso le 8.00 a.m. introduzione del corpo in uno stretto parallelepipedo di metallo montato su ruote (per convenzione chiamiamolo, che so io, “automobile”), imbottito alla bell’e meglio e dotato di alcuni comfort di base
l’automobile percorre con estrema lentezza un cunicolo di strade asfaltate. Il suo moto è accompagnato e ostacolato da quello di una moltitudine di altri parallelepipedi, che provano a ostacolarne il movimento per accelerare il più possibile il proprio percorso: una guerra. Li sospinge un motore a scoppio, il che comporta l’emissione di sostanze sgradevoli all’odorato e altamente nocive per la salute
in capo a un’ora, arrivo in “ufficio”, un gruppo di stanze adiacenti fredde, disordinate, impersonali e spesso non particolarmente pulite. Sicuramente, con poche eccezioni, l’ultimo posto dove uno vorrebbe passare il proprio tempo tutti i santi giorni
esercizio di attività lavorativa generica per 8-10 ore, con alcune brevi pause a garanzia della salute mentale. L’attività è organizzata attorno alla celebrazione di alcuni riti collettivi chiamati “riunioni”, di nessuna utilità pratica se non la riaffermazione di gerarchie e valori della tribù … dell’azienda
al termine della giornata, ormai stremati, reintroduzione del corpo nell’automobile, ritorno alla propria abitazione
Un anno e mezzo
Questa è una stima cautelativa del tempo che ho trascorso nel suddetto parallelepipedo di metallo, solo per il semplice tragitto casa - ufficio - casa, senza contare le trasferte e i tragitti per incontrare clienti. Una determinazione più esatta ci porterebbe vicino ai due anni e mezzo. Un pezzo importante di vita passato ad andare avanti e indietro dallo stesso posto verso lo stesso posto, e viceversa.
Noi umani …
Controllori e controllati
Le aziende nascono su un paradigma di lavoro accentrato e per 300 anni lo sviluppano e lo affinano. Poco importa che nel tempo una parte sempre più rilevante di compiti venga gradualmente impattata dalla digitalizzazione, spostando le mansioni sul computer e canalizzando su canali informatici anche le relazioni tra umani. Le modalità pratiche, ormai digitalizzate, sono suscettibili di essere compiute ovunque. Ma i meccanismi di gestione, di controllo, di sviluppo di una cultura comune, di coordinamento pretendono di essere esercitati mediante la presenza fisica. Paradossalmente, mentre il lavoro si digitalizza, la managerialità resta spaventosamente analogica.
Poi arriva la pandemia, e tutti a lavorare da casa. Finisce la pandemia, e si chiede a gran voce di ritornare indietro, almeno parzialmente. Si impongono obblighi di presenza in ufficio, due giorni la settimana, tre giorni la settimana. Si inventano regole e procedure perché, questo è il principio, solo il lavoro in ufficio garantisce davvero l’esercizio di coordinamento e controllo complessivo.
Chiaramente (è una delle mie battute preferite) una cosa è andare in ufficio, una cosa è lavorare. Di fatto il lavoro decentrato pone l’enfasi proprio sulla differenza che c’è tra la presenza fisica e la creazione di valore. Finché sto in ufficio, ho il computer acceso e smacchino email, nessuno può dirmi niente. Ma quando lavoro da casa, alla fine della settimana dovrò ben rendere conto di quello che è stato il mio contributo alla causa aziendale, pena la sospensione di quello che è incredibilmente ancora considerato un privilegio gentilmente concesso.
Il problema è che manager e imprenditori si sono trovati impreparati di fronte a questa sfida. La digitalizzazione ha toccato tutto, ha scorporato, dematerializzato, scompattato, virtualizzato prodotti e servizi; ma non vogliamo che tocchi il lavoro che li produce. Complice la pandemia il lavoro spinge per essere liberato da vincoli analogici ormai antichi e irragionevoli. Ma nessuno l’aveva detto e se qualcuno l’aveva previsto non era stato ascoltato; mancano la formazione, gli strumenti e la forma mentis necessari per gestire una forza lavoro decentrata. Di conseguenza di fronte agli uffici che si svuotano si prova un’invincibile sensazione di perdita di controllo e un’angosciante horror vacui.
Lavoro smart? Ma mi faccia il piacere!
Un’espressione “smart working”, che finora ho accuratamente evitato. Perché se ne vede veramente poco.
Quello che si vede è il lavoro a domicilio, che è semplicemente lo spostamento tale e quale del luogo in cui si svolge un certo compito. Il lavoro smart è un’altra cosa.
Smart working significa che per ogni tipo di compito scelgo il luogo migliore per svolgerlo. Significa che concepisco la liberazione dall’obbligo dalla presenza in ufficio come una risorsa per creare valore, anche in termini economici, di efficienza, non solo come fonte di comodità per gli individui, che pure è cosa rilevante. Com’è che il lavoro svolto da altri posti mi aiuta a raggiungere un valore che non è raggiungibile dal lavoro in ufficio? Come trovo il modo per permettere socialità e processi di inculturazione sia pure in presenza di minori occasioni di contatto diretto, ma magari proprio grazie a questo? Come restituisco valore e piacere al fatto di starci, ogni tanto, in questi benedetti uffici?
Giusto per fare un esempio, questa potrebbe essere l’occasione di abbracciare una concezione nuova del tempo, finora compreso solo in termini di “orario di lavoro” secondo una dimensione organizzata attorno alle ore della giornata. Perché invece non leggere il ritmo del lavoro e la presenza a casa e in ufficio in termini di stagioni? Non ho bevuto troppo, le stagioni hanno sempre scandito le fasi del lavoro, poi è arrivata la famosa macchina a vapore che non fa differenza tra autunno e primavera, inverno ed estate.
Certo alcune attività dovranno e potranno utilmente essere svolte tutti insieme appassionatamente in una sala riunioni. Ad esempio, ed è solo un esempio, un certo tipo di formazione non si può davvero fare in remoto, perché chi parla non può capire la reazione delle persone e di conseguenza non può accompagnare il processo di apprendimento; e chi ascolta è circondato da troppe fonti di irresistibile distrazione.
Agitato non mescolato
Tutti i cocktail tropicali hanno tre componenti di base: il liquore (rum, tequila, cachaca …); il dolce (di solito zucchero di canna); l’agro (di solito il lime). Il modo in cui i componenti si mescolano, si armonizzano, si contrastano e si richiamano, magnifica l’arte del barman, o denuncia la scarsa perizia dello sbevazzone.
Lo smart working può e deve essere un modello nuovo, che butta in aria i vincoli di tempo e di spazio e li fa ricadere in un ordine nuovo e fecondo. Tutto il resto è noia.
E ora un po’ di musica
Mi dica che le pare
Del mio ufficio in riva al mare, eh
Beh, l'arredamento non c'è
Però c'è il mare da ascoltare
E il tramonto da aspettareBruno Lauzi