L'impero dei sensi: lo Stregone dei Dati #051
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“L'uomo non ha un corpo separato dall'anima. Quello che chiamiamo corpo è la parte dell'anima che si distingue per i suoi cinque sensi.”
(William Blake)
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del senso della vita digitale. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono solo l’applicazione delle tecnologie all’universo di dati che ci circonda.
A scuola ci hanno insegnato che i sensi sono 5, poi si è iniziato a parlare di un sesto, in realtà attualmente si sostiene che il modo in cui il nostro corpo interagisce con il mondo esterno sfrutta una vasta gamma di sensori, tra i 14 e i 17 a seconda delle liste.
Tensione, equilibrio, termopercezione, proprocezione, chemiopercezione, e altri ancora. Cosa sarebbe un essere umano sensa i sensi? Un incubo dei peggiori, un’opprimente fortezza chiusa in sé stessa.
Eppure il progredire della vita digitale promuove una progressiva elisione della maggior parte dei sensi impegnati a cogliere quella che ancora insistiamo a chiamare vita: siamo ridotti a vista e udito.
Una vista peraltro priva della visione laterale, ambientale, consapevole solo di quello che c’è al centro dell’obiettivo; e sempre privata della possibilità di guardare la realtà direttamente, senza il filtro di schermi di vario genere e dimensione.
L’udito poi sente quello che gli viene sottoposto, piattume armonico impoverito dalle compressioni.
La copia del reale
Già ci aveva pensato l’evoluzione. Il genere umano ammaestra gradualmente l’ambiente in cui agisce e con il passare delle ere ha sempre meno bisogno dell’efficienza dei sensi, che gradualmente si atrofizzano.
Poi arriva il digitale. I panorami diventano fotografie, i concerti video, le conversazioni post o messaggi.
Cosa facciamo quando ci troviamo di fonte a un panorama commovente? Non lo guardiamo, lo fotografiamo. Quella vista, infatti, non vale in sé, ci manca qualcosa se non ne facciamo una copia, esiste solo se è mediata dai bit. Identica cosa ai concerti; ma guarda un po’ cosa succede sul palco, ascolta la musica, gusta l’esperienza, invece di stare tutto il tempo come un pirla con il braccio alzato a guardare lo schermino del telefonino che cattura il simulacro del divertimento che avrebbe potuto essere.
Non pervenuti
Gusto - niente; olfatto - nada; tatto - non pervenuto. Su cinque sensi fondamentali, tre non sono neanche contemplati dall’esperienza digitale. Senza contare tensione, equilibrio, termopercezione, proprocezione, chemiopercezione, e via dicendo.
La tendenza all’impoverimento progressivo prosegue. Giusto per fare qualche esempio, usiamo sempre di più sistemi di text to speech che riducono le mille inflessioni del parlato umano a una monotona voce di plastica. E anche quando parliamo con altre persone, lo facciamo sempre più spesso a distanza, mentre gli algoritmi strozzano la voce con le loro tecniche di compressione. Guardavo ieri sera il film sulla vita di Fabrizio De André. Quella voce profonda come il mediterraneo come suonerebbe su Skype?
Altre spoliazioni verranno. Si parla di andare in giro con un caschetto in testa, per eliminare ab ovo qualunque possibilità di contatto con l’esperienza reale.
Altri complotti
Per natura non sono complottista. Non sospetto in quello che sta succedendo attualmente pericoli per la democrazia; oscuri movimenti di occulti poteri; complotti planetari in nome di terribili ideologie.
E’ molto più semplice: vogliono i nostri soldi. Transumanesimi e superumanesimi sono il banale frutto dell’avidità.
Il vero pericolo, infatti, non è impoverire l’esperienza umana, lo abbiamo già fatto. Il pericolo vero è scambiarla per il simulacro in cui viviamo.
Non sono neanche luddista, sarebbe inutile e sciocco pensare di eliminare l’esperienza digitale. Il problema è che ci avevano promesso che avrebbe potenziato la nostra vita; invece la sta sostituendo, impoverendola.
Perdita dei sensi, perdita di senso
Rivendichiamo dunque la nostra potestà di annusare. E di toccare. E di sprofondare lo sguardo nell’azzurro del cielo tenendo il telefonino chiuso in tasca.
Rivendichiamo anche l’autenticità dell’esperienza aziendale. Stiamo perdendo totalmente i processi di acculturamento e socializzazione. Un’azienda non è solo forma economica e insieme di compiti, è una cultura, un insieme di regole, usanze e valori che definiscono cosa si può e si deve fare, e come si fa. Conferiscono coesione, favoriscono il coordinamento complessivo, rendono il lavoro un’esperienza più gratificante e sì, aiutano anche l’efficienza.
Come possiamo pensare di assumere personale e farli venire in sede settimane più tardi, se e solo se ce ne è necessità pratica? Ci salviamo la coscienza nominando tutor e somministrando corsi di formazione (a distanza, ci mancherebbe) ma così facendo riduciamo l’azienda a pura prestazione.
Tutto questo non ci muove, perché da empirici, scettici e naturalisti, come Hume, crediamo solo in quello che vediamo. Ma siccome abbiamo la testa in un imbuto, stiamo perdendo il sapore, il gusto, il tessuto, il profumo, l’odore della realtà. Che inevitabilmente si rifarà vita, assestandoci un bel calcio nel deretano. E’ sempre stata lì, ma fingevamo che non esistesse.
E ora … un po’ di musica
Vedimi, sentimi, toccami, guariscimi. Se ti ascolto, capisco la musica. Se ti contemplo, percepisco il calore. Se ti seguo scalo montagne. Ai tuoi piedi mi emoziono.
[@GianPaolo questa ti piacerà]