Il principe è innamorato - Lo Stregone dei Dati #071
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“La bellezza salverà il mondo”.
Fëdor Dostoevskij
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del significato della vita digitale. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono solo l’applicazione delle tecnologie all’universo di dati che ci circonda.

☢️ Attenzione! Questo post contiene materiale ad alto rischio di esteticizzazione ☢️
Signori» prese a gridare a tutti, «il principe afferma che la bellezza salverà il mondo! ed io affermo che idee così frivole sono dovute al fatto che in questo momento egli è innamorato. Signori, il principe è innamorato, non appena è arrivato, me ne sono subito convinto. Non arrossite principe, mi impietosite. Quale bellezza salverà il mondo?»
Così scriveva il buon Fedor, compagno di lunghe chiacchierate davanti al fuoco del camino nelle gelide giornate dell’inverno di San Pietroburgo.
Di questa citazione si è usato e abusato. Dostoevskij in realtà non pensava all’attrattività estetica delle forme, quanto piuttosto alla bellezza come espressione del manifestarsi del bene; pensava alla giustizia, all’etica, alla robustezza delle fondamenta del nostro modo di vivere.
Il bello come espressione del buono, del vero, del giusto. Ma anche a limitarsi alla pure dimensione estetica, anche a prenderla da qui, viviamo in tempi ben brutti … anzi bruttisti!
The Brutalist
Michelangelo frequentava le cave di Fantiscritti, a Carrara, per scegliere i blocchi di marmo bianco in cui scavare le sue opere. Il protagonista del film The Brutalist (10 nomination, 3 Oscar, non l’ho ancora visto per cui lo uso solo come spunto) compie lo stesso viaggio per progettare un edificio afferente alla corrente del “brutalismo”, una corrente architettonica così definita traendo spunto da una frase di Le Corbusier: “L'architettura è stabilire relazioni in movimento tramite le materie prime”. Nell’originale francese “materie prime” è “matières brutes” (da cui “brutalismo”) e “in movimento” è “émouvants” che si può benissimo tradurre anche come “commovente”. C’è comunque una priorità data alla materia prima, al massiccio contrapporsi di blocchi primitivi per ottenere un effetto generato dalla loro contrapposizione. Per i milanesi che mi leggono dico “Torre Velasca”, e hanno capito.
L’effetto ricercato è il movimento, o il trasporto delle emozioni. Nulla si dice della bellezza. Se qualcuno non ne è convinto, vuol dire che non è di Milano e/o non conosce la Torre Velasca per cui eccovela qui in tutta la sua … la sua … imponenza!

Il brutalismo avrà anche i suoi meriti; mi pare però di poter dire che in generale l’arte contemporanea si distacca dalla bellezza, per così dire non se ne interessa. Privilegia il significato, l’intenzione, la ricerca dell’atto artistico “per sé”, e di cosa lo caratterizza come tale. La bellezza? Irrilevante.
Pazienza, dirà qualcuno; questione di gusti.
No, non è questione di gusti! Il punto non è che quel che piace a uno non piace all’altro; il punto è che a questi non interessa piacere. Ciao bellezza, ciao incanto, addio meraviglia, addio stupore. La domanda di Dostoevskij (quale bellezza salverà il mondo) non ha una semplice risposta negativa; non ha più senso in quanto domanda.
E infatti
Milan Kundera nell’Insostenibile Leggerezza etc. lo chiamava Kitsch. Lascio a lui la parola.
Il Kitsch è la negazione assoluta della merda in senso tanto letterale quanto figurato […] è un mondo dove la merda è negata e dove tutti si comportano come se non esistesse […] Nel regno del Kitsch impera la dittatura del cuore. […] Il Kitsch fa spuntare, una dietro l’altra, due lacrime di commozione. La prima lacrima dice: – Come sono belli i bambini che corrono sul prato! -. La seconda lacrima dice: – Com’è bello essere commossi insieme a tutta l’umanità alla vista dei bambini che corrono sul prato! -. È soltanto la seconda lacrima a fare del Kitsch il Kitsch. La fratellanza di tutti gli uomini sulla terra sarà possibile solo sulla base del Kitsch.
Interessante? Profetico! Siamo nel 1982 e il romanziere ceco registra l’inesorabile avanzata non tanto del brutto, quanto della bruttezza, e di una bruttezza particolare: la bruttezza che si compiace di sé stessa. Il kitsch avanza e rischia di mangiarsi il mondo.
Siccome non ci facciamo mancare nulla, dopo il Kitsch è arrivato lo Slop, che ne è la versione ultra moderna, potenziata dalla tecnologia e in particolare dall’AI. Il termine originale indica gli avanzi di cibo in una casa, nel lingo della rete connota la volgarità e il cattivo gusto travestiti dalle luci scintillanti della tecnologia. Come se la disponibilità dei mezzi avesse abbassato l’asticella, invece di alzarla. Se dunque qualcuno ha pensato che la tecnologia potesse aiutarci: non pervenuta.
Sarebbe facile a questo punto mettere la penna ad alzo zero e sparare a mitraglia sul brutto imperante. Commentare gli orrendi vestiti delle star, a Sanremo come agli Oscar; storcere il naso sugli abissi in cui precipitano le ormai troppe settimane della moda, modelle e modelli vestiti in modo così brutto da essere poco dignitoso; e chiedersi come mai le nuove realizzazioni architettoniche tipo università e villaggi olimpici sembrano usciti dall’incubo dei quartieri popolari delle metropoli del blocco sovietico. Di nuovo, per i milanesi, ogni riferimento all’Università Bicocca e al nuovo Villaggio Olimpico parla chiarissimo.
Ma andiamo oltre.
La bellezza a stomaco vuoto
Anni fa, per un convegno, sono stato ospite di un mega resort immerso nella campagna senese. Dormivo in un alberghetto lì vicino (questioni di budget) ma di giorno mi beavo dello splendore del seistellelusso, passeggiando per la campagna durante i coffi brech. Il resort era infatti il frutto della magistrale ristrutturazione di un villaggio di contadini di qualche secolo prima.
“Pensa a te” consideravo tra me e me “questi erano contadini e a ogni raccolto si giocavano la fame dell’inverno successivo; eppure, già che di una casa avevano bisogno, dovendo costruirla, già che c’erano la facevano bella. Ma non bella: bellissima! Armoniosa, calda, una carezza per gli occhi, pietre ben squadrate su proporzioni perfette … Anche se poi nella sala da pranzo ospitavano anche le galline e in un letto ci dormivano in sei. Per loro era naturale, genetico fare le cose … belle”.
Gli archeologi hanno sempre creduto che la nascita dell’arte sia da collegare alla disponibilità di materie prime che ha seguito il passaggio dalla fase cacciatori/raccoglitori alla fase agricoltori/allevatori. Pancia piena, sicurezza del domani, c’è tempo e voglia di pensare a templi, sculture, oggetti. Le più recenti scoperte, tuttavia, hanno negato questa ipotesi. Il genere umano ha iniziato a produrre arte, monumentalità, splendore anche a stomaco vuoto. Semplificando, non è questione di mezzi, ma di fini.
Mecenati
Michelangelo odiava dipingere, la sua passione era la scultura; ma il marmo costava, una statua era molto più ingombrante e alla fine bisognava adattarsi alle commesse dei committenti.
Gli artisti hanno sempre fatto la fame. Attori, musicisti, pittori, scultori e poeti, sempre appesi ai soldi di qualche ricco che volesse investire in qualcosa di bello. Sempre in giro a cercare una corte dove ci fosse un mecenate. Un nobilotto o un ricco mercante, un papa o un re magari non del tutto coscienti dell’effettiva grandezza di quello che finanziavano; ma convinti che spesare l’arte fosse un modo di affermare la propria grandezza, quando non parte costitutiva del loro stesso ruolo interno della società.
Non è più così. Gli straricchi, i mega ricchi, non finanziano più la bellezza. Pagano per cose più o meno meritevoli, dalla cura delle malattie all’eliminazione della fame nel mondo, fino a rifugi antiatomici personali. Ma la bellezza non rileva.
Rimane il mercato, ma il mercato sono i mercanti, e a loro rileva solo il profitto.
Bellezza e tecnologia
La bellezza ad oggi non è un obiettivo, è irrilevante, gettata in un angolo ad aspettare tempi migliori.
E la tecnologia?
Nella tragica confusione tra mezzo e fine che contraddistingue questi nostri anni, pensiamo che l’affluenza di risorse tecniche possa aiutarci sempre e comunque: il futuro dell’umanità è sempre una riga di codice più in là. Ma la bellezza non è nello scalpello dello scultore, nel pennello del pittore, nella reflex del fotografo e neanche nelle routine di un sistema generativo. Non basta un pennello grande per fare un grande pennello, non basta un software migliore per fare arte, non ci salveranno le foto di gattini. La bellezza sta scomparendo dal nostro mondo.
Pupazzi
Io spero che Dostoevskij avesse torto. Se l’attuale débacle riguarda solo la bellezza estetica, pazienza: potremo sempre rifugiarci in un passato, anche prossimo, capace di generare bellezza anche in totale assenza di mezzi tecnici adeguati.
Se però il bello è la manifestazione del buono, del vero, del giusto, allora siamo proprio nei guai e c’è da preoccuparsi.
Il 20 gennaio del 1494 a Firenze ci fu un’eccezionale nevicata. Michelangelo in quel periodo se la passava male. Senza committenti non poteva pagarsi una casa ed era tornato a vivere col padre. Piero de’ Medici gli commissionò un pupazzo di neve. Per otto giorni, prima che si sciogliesse, i fiorentini fecero la fila per ammirare la bellezza imponente, sublime di un Ercole di 3 metri.
Possibile che la salvezza del mondo risieda in atti che abbiano l’unica finalità di creare oggetti inutili, effimeri, temporanei, fragili, delicati, improduttivi, ma assurdamente, sublimemente, perdutamente belli?
E ora un po’ di musica
Si può fare qualcosa di … carino anche parlando della bruttezza.
Questo pezzo ha più di trent’anni, passato di sfuggita a Sanremo nel 1992; ma chi l’ha sentito, se lo ricorda. Enjoy.