Il gioco dell'impiccato - Lo Stregone dei Dati #075
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“Troveremo un capitalista disposto a venderci la corda con cui impiccarli tutti”.
(Vladimir Ilyich Ulyanov aka Lenin)
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del significato della vita digitale. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono solo l’applicazione delle tecnologie all’universo di dati che ci circonda.

☢️ Questo post contiene materiale ad alto rischio di preoccupazione ☢️
E’ la musica che mi ha portato a scoprire
. Ted è un rinomato esperto di jazz ed è l’autore di alcuni testi di riferimento nel settore. In realtà però segue praticamente tutti i generi musicali e si spinge ben oltre: è un ingegno poliedrico, direi leonardiano. Nella sua newsletter su Substack parla di libri, società, società digitale, economia e finanza, media … Il tutto con ampiezza di visione, taglio arguto, mai consueto e a volte, oso dire, profetico, per la sua capacità di mostrare le maglie e svelare le dinamiche di quanto sottende i fenomeni cui assistiamo, denunciandoli con sfrontatezza quando fanno il nostro male.Una sua denuncia frequente, ben argomentata e illustrata, è quella contro la c.d. “dopamine culture”.
La sostanza della sua accusa, che integro con farina del sacco mio, è questa.
All’alba dei social tutti i ragazzotti futuri fondatori delle corazzate della rete frequentarono corsi di psicologia comportamentale che insegnarono loro un lineare meccanismo di manipolazione e controllo psicologico. Un circuito semplice ma efficace che può essere trasformato in un loop, proceduralizzato digitalmente, alimentato indeterminatamente dai contenuti che provengono dalla rete stessa. Funziona così:
Inizia tutto con uno stimolo, un “trigger” - tipicamente il ting della notifica in arrivo sul cellullare, che richiama la nostra attenzione
Lo stimolo evoca una reazione psicologica positiva, che è stata associata al trigger in base a esperienze passate
La reazione innesca un’azione da parte nostra: accediamo alla notifica, guardiamo il video
Alla nostra azione corrisponde una gratificazione proveniente dal contenuto fruito, che va a rinforzare la reazione psicologica di cui al punto 2
Il ciclo si ripete, opportunamente innescato dall’architettura informatica, finché la batteria dello smartphone è scarica. Poiché è piuttosto agevole ricaricarla, il ciclo non si interrompe virtualmente mai.
Dopamina
Detto, fatto. Un po’ come i cani di Pavlov, o i topolini di esperimenti analoghi. La campanella evoca la distribuzione del cibo, per avere il cibo devo azionare una leva, alla fine i topolini muoiono a furia di premere le levette anche quando il cibo non viene più erogato.
La sensazione di benessere che viene innescata è prodotta da minuscole scariche di dopamina; minime, ma sufficienti per rendere fluido ed efficace il ciclo, che si ripete ad libitum fino a creare dipendenza psicologica, ma anche fisica, e ad orientare il nostro comportamento in modo irresistibile. Infatti a cosa serve questa benedetta dopamina? Beh, regola la sensazione di piacere, la capacità di attenzione, la motivazione e l’umore. Anche l’intestino! per cui quando arriva la “scimmia” ci ritroveremo pure stitici; ma in questo contesto mi pare l’ultimo dei problemi.
Semplice ed efficace; dopo tutto il digitale è roba di zero e di uno. Ma obbedisce a leggi esponenziali che in questo caso possono ridurci a zombie, drogati devastati che passano ore e ore e ore al giorno a scrollare video. Altro che Fentanyl.
Il fenomeno è così grave che alcuni paesi stanno addirittura provando a bandire l’utilizzo degli smartphone in certe fasce di età. In altri le scuole si difendono sequestrandoli all’entrata, per evitare la totale perdita di attenzione di scolari che non riescono più a staccarsi dai pollici quadrati dello schermo, sempre lì a guardare chi ha postato cosa, avidamente affamati della scarichetta rilasciata dall’ippotalamo, via via incapaci di attenzione, creatività, interazione sociale. Morti viventi che si trascinano tra un’aula e l’altra ad ogni cambio di lezione, sguardo basso, pollice pronto.
E pensare che c’è chi si preoccupa dell’impatto dell’intelligenza artificiale sul nostro futuro. Dilettanti! Iniziamo a preoccuparci del presente.
Sto esagerando?
Lenin
Ovvio che gli adolescenti siano impattati in modo grave e profondo da queste dinamiche che facciamo fatica a controllare; un po’ per la fragilità tipica della loro età, un po’ perché sono la prima generazione colpita in pieno petto da questi aggeggi. Auspicabilmente le prossime potranno usare qualche cautela o regola in più.
Le statistiche sulle ore del giorno dedicate allo swipe sono impressionanti. Addirittura secondo alcuni studi il quoziente di intelligenza, in crescita da secoli, è in calo da qualche anno. Da quanti? Da una decina, ma guarda un po’.
Cioè, tradotto: tecnicamente, ci stiamo rincitrullendo. Stiamo buttando via una generazione, consegnandola a chissà chi e chissà cosa. Il tutto per il gusto di un meme in più.
Qui torniamo al Lenin della citazione di apertura. Vorrei poter dire che tutto questo accade per un oscuro piano orchestrato dietro le quinte, una cospirazione, il malvagio disegno di chi vuole dominare il mondo riducendo il popolo a una massa di idioti. Ma il male è spesso banale. Qualcuno voleva fare un sacco di soldi, ha scoperto un modo semplice ed efficace e non ci ha pensato due volte. Qualcuno doveva sorvegliare i propri figli, ma era distratto da altri interessi e occupazioni. Qualche giovane aveva dei sogni e dei progetti, ma ha preferito farsi accogliere dall’abbraccio del vittimismo e della rassegnazione.
Creare alternative
Anche qui tocca resistere alla tentazione del si stava meglio quando si stava peggio. Se penso alla pochezza delle serie tivu su cui perdevo il mio tempo quando ero studente del liceo, mi pare di poter essere l’ultimo a parlare.
Ripenso al primo pomeriggio di tanti anni fa, tornato da scuola, subito dopo il piattone di pasta e prima dei compiti rimandati il più possibile, ricacciati verso l’ora di cena. Posso anche assolvermi per Starsky & Hutch; passi anche i CHIPS per via del fascino delle highways californiane; ma come posso perdonarmi di avere sprecato le ore a guardare Hazzard County?!?
Certo che adesso la scala è diversa perché l’abbondanza di contenuti, praticamente illimitati, la possibilità di personalizzare il godimento, cucirlo su misura di ciascuno, e il meccanismo sostanzialmente frictionless creano un maelstrom che accelera e inghiotte le menti migliori di questa generazione. L’ampiezza e la profondità del fenomeno sono sotto gli occhi di tutti sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere. Cosa fare? Proibire? Bandire? Leggi e regole sono importanti e necessarie ma non sostituiscono l’educazione.
I dosaggi degli esperti
Per evitare questo progressivo imbarbarimento, per fuggire la logica dello sdilinquimento nel nulla delle menti che si spengono come stoppini immersi nel liquido amniotico di un reel, non basta fare appello alla forza di volontà o creare leggi e regolamenti restrittivi.
Dobbiamo ricominciare a frequentare il bello.
Dobbiamo smetterla di guardare film noiosi, serie televisive una eguale all’altra, vagabondare per città squallide, leggere libri scontati e tutti uguali.
Avvertiva un poeta ancora 46 anni fa:
Adesso dovrei fare le canzoni
Con i dosaggi esatti degli esperti
Magari poi vestirmi come un fesso
Per fare il deficiente nei concerti
Appunto. Le poesie e i quadri non li cito perché tanto non interessano più a nessuno; ma non ne varrebbe comunque la pena.
Anche la mia mente faceva acqua, dopo la visione ripetuta di certi programmi. Poi però è arrivata la musica. Ho aperto la mia finestra sul mondo, e i sultani dello swing cantavano di brividi nel buio mentre pioveva nel parco a sud del fiume, in attesa dello show del venerdì sera; i ritmi dei caraibi cullavano il sogno di un amore, un amore solo per dare lode al Signore, stringerci insieme e sentirci bene; Londra chiamava le città lontane, per avvertirli che stava arrivando l’era glaciale; qualcuno (chi?) mi invitava ad ascoltare per sentire la musica, a guardare per ricevere calore, a seguire per scalare le montagne; ed io stringevo fra i denti le labbra e i miei pensieri, per tornare a girare là dove c’è musica.
Da lì il passo è stato breve, brevissimo, presto mi sono innamorato di Hemingway e Dostoevskij, Steinbeck e Stendhal. E poi i pittori dell’800, e ancora oggi il mondo non basta a contenere la passione che ho per il bello. Perché il bello ha questo di bello, che fa innamorare.
Adesso, con tutto il rispetto (ma anche no), non è lo stesso cibo. Arriva una ragazzotta dalla Pennsylvania, occupa a mano armata San Siro e inizia a cantare “sai che ti adoro, sono più pazza per te di quanto non lo fossi a 16 anni, persa in una scena di un film, salutando le regine del ritorno a casa, suonando la banda musicale …”. Grazie, ma no grazie.
La musica non gira più intorno, è la banalità di una colonna sonora in sottofondo, al suo posto ci sono orde di ballerini, fuochi artificiali, palchi immensi e un’assoluta, disperata, disperante mediocrità a riempire il vuoto con rumore bianco.
Se questa è l’alternativa, meglio il telefonino, uno short alla volta per dimenticare tutto, gonfiami il cervello sorella dopamina, gonfiami le vene, trasforma i miei incubi in sogni. Che tanto l’alternativa non vale la pena.
Il punto è che quando sei giovane - ma anche più tardi - hai voglia di perderti, vuoi fare vedere baciare disfare leggere ascoltare cose che ti facciano correre il sangue più veloce nelle vene, che ti muovano e ti commuovano, che ti mostrino al di là dei dubbi che la vita tua è diversa e sì, ne vale la pena.
Se il metro estetico dominante è quello dell’Eurofestival; dei tatuaggi sui corpi dei calciatori; dei reality show totalmente irrealistici nella loro assoluta auto referenzialità; dei talent show occupati dai mediocri; se i libri, anche quelli che vincono i concorsi, sono scritti tutti con un metodo imparato a tavolino, in corsi di “creative writing” già loro gli uni uguali agli altri; se tutto quello che succede in città è un esperimento, un dibattito, una liturgia, rimanda sempre a qualcosa perché non ha, sostanzialmente, niente di interessante da dire; se questo è quello che definiamo “bello”, perché mai un adolescente dovrebbe far leva sulla forza di volontà per strapparsi allo stagno putrido degli short e iniziare il suo viaggio nella vita? Questa robaccia non è neanche brutta, è peggio: insignificante. Un solletico alla passione per la vita.
Per una volta non me la prendo con il digitale. Non di quello parlava Lenin, non è quella la nostra corda. Il digitale garantisce solo l’assoluta efficienza del cappio che ci stringe il collo un poco di più a ogni swipe. Per sciogliere quel nodo è tempo di fare qualcosa di bello.
E ora … un po’ di musica
E’ una PFM meno progressive e più rock, meno conosciuta ma a mio parere più efficace. E comunque le canzoni di quell’album hanno riempito i miei sogni dal primo ascolto e per gli anni a venire.
Starsene a casa, a che fare?
Quello che ciondola
ma non gli va di restare
leggo un giornale, sempre uguale.
Ho gli occhi che mi fanno quasi male
a forza di vedere fuori
sempre gli stessi colori
qui per sognare mi tocca dormire
o come sempre, suonare suonare....