I semi dell'uva - Lo Stregone dei Dati #072
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“Il cibo oggi è prodotto soprattutto per essere venduto, non per essere mangiato”.
(Carlo Petrini)
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del significato della vita digitale. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono solo l’applicazione delle tecnologie all’universo di dati che ci circonda.

☢️ Questo post contiene materiale ad alto potenziale di inseminazione ☢️
Ultimi scampoli di inverno, la primavera formalmente è qui e iniziamo a goderne gli effetti. Brezze leggere, tepore, alberi in fiore, tutta la roba che piace ai poeti. Datele tre mesi e cederà il passo all’estate, mare/montagna/lago, limonata e zanzare. L’estate poi abbraccerà l’autunno, vacanze finite, pronti per la vendemmia e le castagne.
Il flusso del tempo e delle stagioni è immutabile. E’ vero, non ci sono più le mezze stagioni, ma è da sempre che non ci sono più le mezze stagioni! per cui non rileva al ragionamento. In compenso cambiano, quelli sì, i frutti della terra generati dalle stagioni stesse; in particolare si diffondono sempre di più varietà senza semi. Mandarini che cedono il posto alle clementine, angurie e uva senza gandolini …
I mandarini, giusto per, sono ormai quasi introvabili. Peccato perché hanno una storia illustre, la prima volta in cui sono citati risale al XII secolo avanti Cristo, parliamo di più di tremila anni fa. Ma stanno scomparendo per via del gusto asprigno e di questi benedetti semi, che alla gente proprio non piacciono.
A me piace
A me, l’uva senza semi non piace. A parte il gusto, che trovo scipito e senza carattere; non mi piace proprio la deglutizione troppo semplice, automatica, che mi sottrae un momento di idiosincratica umanità, il sistematico agitarsi del dubbio amletico che si ripropone con drammaticità ad ogni acino: sputo o inghiotto?
Volessimo filosofeggiare potremmo considerare che è così per tutte le cose importanti della vita, per tutte le esperienze forti, anche negative. Sputo o inghiotto? Cosa faccio quando trovo un contenuto duro e amaro all’interno di situazioni dolci e avvolgenti? Lo espello, lo allontano da me, lo tengo distante dal mio io cosciente, rifiuto che entri come parte costitutiva della mia storia su questa terra; oppure lo accetto a dispetto del sapore per poi digerirlo, in modo che diventi parte di me, una dimensione della mia esperienza sul pianeta?
Per una filosofia dell’anguria
Tra tutti i frutti estivi il mio preferito è l’anguria, questione di papille gustative, ma anche del piacere di tuffarsi dentro la fettazza. La mangi, la bevi e ti ci lavi la faccia, godimento assoluto, esperienza olistica, altro che chacra e yoga e mindfulness.
Da bambino facevo a gara con fratellini e amichetti. Ciascuno contava i gandolini presenti nella fetta assegnata a ciascuno dalla provvida mano del papà. Ci stupivamo del numero, enorme in alcuni casi, ridicolmente basso in altri. Ci congratulavamo a vicenda per la nostra fatica di pulitori indefessi, esercitata con il coltello, con le dita o più semplicemente addentando e poi sputando.
Anguria senza semi? La fine di un’esperienza fondativa, un percorso di scoperta che ci faceva crescere e maturare, un’intensa esperienza di socializzazione che dovrebbe cedere il passo alla molle deglutizione di un blob indifferenziato, forse gradevole al palato, ma insoddisfacente per l’animo.
Una less-society
Automobili senza guidatore. Articoli senza autore. Codice senza programmatori. Diagnosi senza medico. Assistenti senza assistente. Consigli per gli acquisti senza amici che consigliano gli acquisti.
Le nuove applicazioni digitali sono orientate a una logica sostitutiva, sottrattiva, costruiscono valore costruendo una cosa senza cose.
Certo,la mente del manager o dell’imprenditore si accende immediatamente quando gli vengono proposti casi sottrattivi, perché ci scorge il seme (gioco di parole intenzionale) dell’efficienza, del risparmio dei costi. Tanto più quando la “cosa” che è possibile sottrarre è la malaugurata, famigerata “risorsa umana”, celebrata come risorsa nelle mission aziendali, nei fatti trattata come un “walking cost”, più i corridoi si svuotano meglio è.
Ma cos’è la frutta senza semi? Vogliamo davvero un mondo “frictionless”?
Ecco la parola, frizioni. Inseguiamo il sogno di uno streaming inalterato e continuo, un episodio via l’altro, una serie televisiva dopo l’altra, senza neanche la necessità di scegliere, se aspetti 15 secondi ci pensa il recommendation system, ovviamente automatico e frictionless e humanless.
Fecondità
Quante storie, cosa mai sarà un seme?
Un seme, un semino, piccolo e insignificante, roba da sputare, direzione cestino dell’organico. In realtà è il principio di una nuova vita, di altri frutti, di grappoli succosi. Lui lo sa, è tenace, non si arrende, si incastra fra i denti, vuole iniziare il suo viaggio, non gli importa di finire per terra o di compiere un lungo viaggio nelle viscere di qualcuno. E’ disposto a questo e altro per poter un giorno mordere la terra, penetrarla e diventare albero, fiore, frutto.
Non lo fa tanto per. Sa che la combinazione del DNA che lo contraddistingue è unica, originale, irripetibile. E’ l’unica, ultima occasione di donare al mondo quella pianta lì. Che poi è la vita che dovrebbe interessarci, unica, originale, irripetibile, certo non quella indifferenziata della produzione di massa.
Chiariamoci dunque: niente semi, niente vita. Vogliamo illuderci che valga solo per la frutta?
Aspetta un attimo, caro Stregone. Stai proponendo di reintrodurre semi nel meccanismo? Di progettare processi friction-more invece che friction-less? procedure idiosincratiche, organizzazioni uniche che richiedono ad ogni giro di giostra di fermarsi, espellere, ingoiare … stai davvero sostenendo che more is less, invece che less is more?
Eppure stiamo parlando di una cosa importante: la fecondità. Che in questa epoca sempre più semplice, o semplificata, sembra effettivamente essere a rischio.
Non è una metafora. Nell'epoca di Tinder non è mai stato più facile accoppiarsi, eppure non solo si fanno meno figli, ma qualità e lunghezza delle relazioni sono in costante ribasso. Modalità di accoppiamento seam-less e friction-less determinano un “less” nelle unioni. Certo, a vantaggio della quantità. Come se contasse qualcosa.
A chi conviene questo? Ragionando: compro i semi della frutta senza semi, li pianto, cresce la pianta, fiore, frutto, guardo dentro … ma non ci sono semi! appunto. L’anno prossimo dunque, per ripetere il tutto e arrivare al raccolto, dovrò comprare altri semi. Fossi complottista oserei sospettare che qualcuno miri al monopolio della fecondità.
Per un’azienda più complessa
Torniamo nell'ambito della tecnologia, e delle aziende.
Sta già succedendo, stiamo già diventando sterili. Mancando nuove riserve di materiale originale, stiamo addestrando i sistemi di AI generativa su corpi di contenuti generati dai sistemi stessi. Più si usano i sistemi LLM per creare contenuti, più gli LLM intervengono su contenuti generati da loro stessi, un processo ricorsivo, appiattito, sterile e che alla genera solo ovvietà e ripetizioni: l’impero della noia.
C’è forse una parte della natura profonda della realtà, dell’ordito che intesse la nostra esistenza, che richiede un elevato grado di laboriosità, pena l’estinzione. Un rapporto di proporzione diretta tra tempo, fatica, e valore.
Abbiamo alle spalle decenni, se non secoli, di streamlining, business process reengineering, razionalizzazioni, ristrutturazioni, tagli, ritagli e frattaglie. E’ il momento di porsi il legittimo dubbio se questo modo di gestire l’innovazione peggiori la nostra azienda (e la nostra vita) invece di migliorarla.
Nei prossimi weekend di primavera faremo di tutto per trovare una destinazione per la nostra gita fuoriporta che offra personalizzazione elevata e artigianalità esclusiva. Celebreremo vitigni rari e cultivar unici. Non vedremo l’ora di degustare le tagliatelle fatte in casa, impastate a mano dalla nipote sotto la guida sapiente della nonna.
Eppure in azienda tendiamo costantemente ad appiattire, a creare processi che non considerino e non risentano della varietà individuale, del fattore personale, di idiosincrasie e particolarità, considerandole semplicemente come un seme che rischia di diventare un ostacolo nell’ingranaggio. T-model, one size fits all, copie conformi di modelli manageriali di moda e formule consulenziali trendy, calze senza cuciture adatte a qualsiasi tipo di piede. Il tutto, di nuovo, in nome della quantità.
E’ il momento di complicarsi la vita, in modo unico, irripetibile, originale.
E ora … un po’ di musica
La fine della storia
è l’inizio della canzone.
Rendimi orgoglioso di essere il tuo uomo,
solo tu puoi rendermi forte,
non posso farcela da solo.
I am a simple man, sono un uomo semplice. E’ privilegio dell’arte saper rendere la complessità in modo semplice. Da questo si riconoscono i grandi artisti. In una semplice nota a volte c’è più che in una sinfonia. Enjoy.
Sono convinto, come tu (in parte) indichi, che le future start-up di successo (o almeno una parte di queste) saranno quelle che offriranno servizi e prodotti ad alto contenuto di esperienza (umana e off-line). Non diventeranno unicorni (forse) ma saranno probabilmente le boutique consulenziali del futuro. Come ogni previsione è fatta e scritta per essere sbagliata (ma per disegnare scenari e far riflettere).