Guarda in alto! - Lo Stregone dei Dati #069
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“Ci sono pittori che trasformano il sole in una macchia gialla, ma ci sono altri che con l'aiuto della loro arte e della loro intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole”.
Pablo Picasso
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del significato della vita digitale. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono solo l’applicazione delle tecnologie all’universo di dati che ci circonda.
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Marcelino Sanz de Sautuola iniziò ad esplorare le grotte di Altamira nel 1875. Si trovavano nella sua proprietà in Cantabria ed erano note da sempre alla popolazione locale, 270 metri di passaggi intrecciati, camere, cunicoli, tanta roba. Ci vollero ancora 4 anni, però, per scoprire le celebri pitture rupestri; ci volle in particolare una bambina di nove anni, la sua figlioletta Marìa.
Erano lì da sempre ma nessuno le aveva viste, le celebri pitture rupestri; come mai? Perché le pitture erano sul soffitto, la volta era bassa, gli adulti dovevano chinarsi per non pestare la zucca e lo sguardo rimaneva fisso al suolo. La bimba invece era abbastanza bassa per guardare in alto. Stava sufficientemente in basso per accorgersi di quanto c’era sopra. Proprio così: vediamo facilmente le cose che sono sotto gli occhi di tutti e ci perdiamo quelle che stanno sopra di noi.
Medicina della musica
Come diceva sempre una persona a me cara, c’è una ragione per cui esistono la medicina del lavoro e la medicina dello sport, ma non esiste la medicina del riposo.
Quella che serve invece è la medicina della musica. Imparare a suonare uno strumento è faccenda lunga, faticosa e anche piuttosto dolorosa e dannosa per la salute. Pare addirittura che chi suona i fiati muoia più giovane, per via degli sforzi richiesti ai polmoni. Da chitarrista dilettante so quanto possano soffrire schiena e mani, vittime di una pratica ripetuta. Periodicamente le riviste specializzate pubblicano servizi sulle principali patologie tipiche del chitarrista, come prevenirle e affrontarle; ma alla fine, come molte cose della vita, l’unica opzione è tenersele e tirare avanti, perché le cose di valore hanno tutte un prezzo.
“Maestro, darei la vita per suonare come fa lei”
”E’ esattamente il prezzo che ho dovuto pagare io”
Andrés Segovia
La tecnologia negli ultimi anni è intervenuta, abbassando e continuando ad abbassare le barriere di accesso alla musica. Non serve più saper suonare uno strumento, fosse pure l’ukulele; niente esercizi ripetitivi e faticosi; non rilevano le nozioni e l’esperienza di musica d’insieme, orchestrazione, teoria, armonia; non contano le ore passate in sala prove, a correggere e ricorreggere un passaggio, a cercare l’intesa e il flow con la band; né le ore passate a far quadrare una rima che non vuole agganciarsi alla metrica. Come ha di recente fatto notare qualche musicista che va per la maggiore, per cantare … non serve più neanche saper cantare!
A tutto questo sopperiscono beat, DAW, auto tune e una serie ormai nutritissima di aggeggi. Pure l’AI ha fatto la sua comparsa nel campo e sta già lasciando un segno.
Il bivio
Certo, siamo di fronte a un processo di democratizzazione, il che non solo suona bene, ma è senz'altro una cosa positiva. Vale nel campo della musica ma anche in altri, uno fra tutti l’AI: la democratizzazione dell’AI. Basta barriere, basta esclusive, tutto per tutti.
Attenzione però. Tutto per tutti, o tutto per chiunque?
L’è minga istess, non è la stessa cosa, come si dice da queste parti. Basta barriere, basta limiti, basta aristocrazie, siamo d'accordo. Ma cosa consegue a un accesso aperto a chi non vuole fare la fatica di guardare in alto, rischiando la cabeza? Una cosa è rendere la volta accessibile a tutti, ben altro è prenderla e spalmarla sul fango della caverna.
La tecnologia nella musica, in questo momento, viene prevalentemente usata per fare le cose più facilmente e più velocemente; piuttosto che per creare opere nuove, aperte, belle oltre misura. Ovvio che ciò conduca a una progressiva omologazione e a una marcata flessione qualitativa.
La mono porzione per single pronta in 30 secondi in microonde al posto della cacio e pepe fatta come si deve.
D’altro canto le pitture dei nostri antenati; la nascita dell’esperienza artistica che ha definito il nostro essere persone umane a cavallo del periodo delle glaciazioni; la scintilla che ci ha tolto dalla sopravvivenza per proiettarci nella vita dello spirito; sono visibili solo a chi va oltre i confini dell’ovvio. A chi osa guardare in alto invece di tenere gli occhi bassi a terra. A chi si immerge nelle cose per scoprire cosa rimane sotto la superficie. A chi è capace di quel moto originario che dal basso contempla, ammira, comprende, e poi impara.
La tecnologia dunque può incanalare le nostre facoltà nell’ovvio e nello scontato, con il vantaggio di ridurre tempo e fatica dedicati a un certo compito, a un determinato processo, a una qualche funzione personale o aziendale; oppure può espandere gli orizzonti, fungendo da strumento all’esplorazione e alla creatività, anche quando paradossalmente questo significa studiare e lavorare di più.
Scelte
Dipende, ovviamente; dipende da come la usiamo, la tecnologia.
Certo è che mentre abbondano studi e articoli che ci spiegano come la tecnologia sostituisce, automatizza, efficienta, fa streamline dei processi - molti meno, o molto meno evidenti, sono gli studi che spiegano come possiamo usarla per espandere la nostra mente.
La tecnologia è neutra, proprio per questo può servire diversi destini. C’è una via semplice: guardare per terra, al pavimento della caverna, alle efficienze e ai tagli che si possono realizzare; e una ambiziosa, creativa, a rischio botta sul soffitto, che ci permette di guardare alle cose nuove, alle espansioni, alle possibilità. Una che guarda la volta, una che ammira il proprio ombelico preoccupata di non farsi male.
Qualunque general manager potrà dirvi che tagliare i costi è facile; molto più difficile crescere i ricavi. Questo vale da sempre, perlomeno da fine ‘600 quando è arrivata la rivoluzione industriale. Facile, relativamente facile, utilizzare ogni nuovo strumento per fare in modo più conveniente quello che si faceva prima. Molto più difficile, sfidante, utilizzarlo per fare qualcosa che prima non era possibile; come peraltro ai nostri giorni suggerirebbe il nome di AI “generativa”.
Sembra che per forza la tecnologia debba servire per tagliare i costi, che poi sono le teste, che poi siamo noi. Una sindrome tipica dei CEO, da cui guardarsi, perché è una febbre più antica delle pitture rupestri, è la febbre del sangue, una pandemia endemica da sempre. Costruiamo piuttosto un presente in cui vinca la musica. E sì, ci vorrà fatica, costanza, gradualità, molte ore passate a studiare, imparare, capire.
E ora un po’ di musica
Ogni riferimento a Sanremo è puramente casuale: casualmente inizia oggi.
E’ il regno dell’ovvio, del banale, del kitsch, eppure lo seguo sempre, perché ogni tanto, e purtroppo non ogni anno, e purtroppo sempre più raramente, tra il mare di paillettes, lustrini, banalità e rime cuore/amore, emerge una perla, tanto più preziosa per il modo in cui si fa largo tra la schiuma.
Questa cosa non piace, infatti di solito pezzi di questo genere arrivano negli ultimi posti. Per salvare le apparenze quell’anno fu creato il premio della critica. Che vinse, altrimenti andavo io a Sanremo a tirare i fiori per aria!