Gli uomini preferiscono le bionde? - Lo Stregone dei Dati #078
La newsletter dedicata al rapporto tra dati, tecnologia, aziende, persone ... e vita.
“Le cicatrici ci ricordano dove siamo stati, non devono necessariamente indicarci dove stiamo andando”.
(Joe Mantegna)
Benvenuto alla newsletter de Lo Stregone dei Dati. Seguimi in questo viaggio alla ricerca del significato della vita digitale. Saranno necessari molti incantesimi per superare le prove disseminate lungo il percorso, ma non temere: quelli che sembrano sortilegi in realtà sono solo l’applicazione delle tecnologie all’universo di dati che ci circonda.

☢️ Questo post contiene materiale ad alto rischio diseducativo ☢️
“Gli uomini preferiscono le bionde”: è imbarazzante parlare di un film con un titolo (e un contenuto) così apertamente sessista e maschilista. Per non parlare della colonna sonora contraddistinta da un pezzo che è un gran bel pezzo, certo, ma il testo davvero non si può ascoltare, “i diamanti sono i migliori amici di una ragazza”!
Alzate pure il piede dal freno: non ne parleremo. Niente paternali sul paternalismo, uso solo una citazione per parafrasarla. Nel film Marylin (sì, lei) afferma che gli uomini preferiscono le bionde … ma sposano le more. Il che evoca, mutatis mutandis, quello che succede nel mondo delle aziende: chiedono innovazione, ma finiscono per comprare la tradizione.
L’ho visto succedere troppe volte e ho lavorato in settori che sembrano sempre sull’orlo della rivoluzione, avrebbero la possibilità di evolvere, cambiare di stato, trasformarsi come un Pokemon, rivoluzionare, esprimere valori inediti e inauditi; ma alla fine, anno dopo anno, sono sempre lì dove li abbiamo lasciati. In un apparente baillame di evoluzione di processi, Business Process Reingeneering, Zero Based Budgeting, controlled disuption, nuovi strumenti, compiti e competenze, tutto resta più o meno uguale.
Certo ci si agita, ci si muove, ci si aggiorna, colpi di reni e colpi di remi, ma è un gran girare in tondo di sapore gattopardesco: cambiare tutto per non cambiare niente.
E’ stata tua la colpa
«Che strada devo prendere?» chiese.
La risposta fu una domanda: «Dove vuoi andare?»
«Non lo so», rispose Alice.
«Allora, - disse lo Stregatto - non ha importanza»
Adesso lo dico: prometto, lo dico, parola di Stregone. Di chi è la colpa di questo stato di cose asfittico? E’ dei clienti. Signorsì, dei clienti.
In tutte le indagini, visite, interviste, sondaggi, i clienti pretendono a gran voce un cambiamento, un’evoluzione, basta con la solita pappa, ormai non vale i soldi che pago, il prodotto così è praticamente inutile, quand’è che finalmente qualcuno ... e poi all’atto del rinnovo annuale mettono la firmetta (firmètta, à la milanese) sulla fotocopia della conferma d’ordine o copia commissione che dir si voglia dell’anno precedente.
Questo spiega anche perché falliscono molte startup: invece di arrivare troppo tardi, arrivano troppo presto.
Questo spiega anche perché le startup sono alimentate e spinte dal venture capital, roba che 50 anni fa sostanzialmente non esisteva, più o meno sono apparsi sul pianeta terra quando è comparsa la rivoluzione dell’informatica, niente sarà più come prima. Perché ragionando, se uno fa un prodotto migliore di quello che esiste sul mercato attualmente, non dovrebbe bastare l’interesse dei clienti a fornire le risorse finanziarie ed economiche necessarie per lanciarlo? Lo so, semplifico, provoco e taglio il salame con la sega elettrica, ma il punto è che sempre di più l’innovazione appartiene al VC, invece che alle aziende. Una delega in bianco pericolosa (per le aziende).
Ma perché?
Nessuno è mai stato licenziato per avere comprato IBM, si diceva una volta. Se compri dal fornitore dominante su un certo mercato e poi le cose non funzionano, nessuno potrà mai dirti niente. Se decidi invece di comprare da un fornitore piccolo, senza storia ma tradizione, ma fortemente innovativo, che offre importanti vantaggi di costo o di funzionalità, etc … e poi le cose non funzionano, ti ritrovi steso ad asciugare in sala mensa.
Di nuovo, semplifico ai limiti del lecito. Non è così semplice. Innovazione non significa per forza qualità. E poi le aziende sono organismi complessi, hanno bisogno di tempo per cambiare. E poi magari il prodotto è quello giusto, ma mancano le competenze per usarlo in modo proficuo. E ancora, ogni cambiamento è un costo e non è che si può continuare a spendere per adottare sempre qualcosa di nuovo, un tapis roulant che a lungo andare sfianca.
Rimane però il fatto che c’è un gap importante tra la retorica e la pratica dell’innovazione. Tra quello che diciamo di noi stessi e quello che pratichiamo. Addirittura, tra quello che decidiamo per la nostra vita privata e i parametri che usiamo in azienda (vi ricordate il BOYD?).
I cinque stadi
Stadio cinque - CEO a una festa estiva tra amici, dopo il terzo Negroni sbagliato (o forse è il quarto).
”Siamo un’azienda fortemente innovativa, sempre alla ricerca di novità che possano avere un effetto disruptive sul mercato, anche a costo di erodere il nostro posizionamento competitivo. D’altro canto, come amo dire sempre “ai miei”, se c’è un concorrente che prima o poi ci leverà la sedia da sotto il bodibò, meglio che quel concorrente siamo noi stessi. Adesso scusate che devo davvero cercare un bagno. Dov’è la toilette? Dov’è la toilette?!?”.
Stadio quattro - CEO a una festa estiva tra amici, mentre slurpa il secondo Negroni sbagliato.
”Sì, noi investiamo molto in innovazione, siamo i primi sul mercato a promuovere le nuove soluzioni che man mano ci vengono proposte. Io stesso spendo molta parte del mio tempo a studiare, capire, perché le cose nuove che arrivano devi prima di tutto saperle usare tu. Penso di potermi definire, forse non un esperto, ma sicuramente un utente molto evoluto. A me piace tracciare strade nuove”.
Stadio tre - Il CEO nel management meeting mensile.
”Questa proposta è molto interessante, potrebbe aiutarci a migliorare i processi e darci quegli insight che chiediamo da tempo. Prima di smarcare l’investimento, però, voglio essere sicuro che ci giochiamo questa carta al meglio. Vorrei una proiezione più precisa di ricavi e costi perché questa, francamente, è un po’ troppo high level. E già che ci siamo è necessaria una mappa dell’impatto sulle risorse umane da un punto di vista quali-quantitativo, perché poi questi nuovi strumenti bisogna saperli anche usare. E infine, se non vedo la firma col sangue del direttore di produzione non si va avanti, perché poi sono io che devo parlarne con quelli di Londra (o Parigi o Tokyo o New York o Pomezia).
Però è una bella idea eh, bravi! Facciamo questi supplementi di indagine e ne riparliamo al prossimo meeting, speriamo di fare in tempo a finalizzare il tutto per il budget dell’anno prossimo, anche se mi sa che andiamo un po’ lunghi”.
Stadio due - A tu per tu con il CFO.
”Cioè, praticamente il budget ce l’abbiamo già in tasca, se andiamo su questo progetto dobbiamo rivedere tutto e prenderci il rischio?!? Proprio l’anno in cui mi scatta il bonus triennale, che ho già dato l’opzione per quel 12 metri pazzesco! Ma cosa hanno nel cervello?!?”.
Stadio cinque - All’atto della firmètta
”Dai, per quest’anno va così, l’anno prossimo ne riparliamo”.
Morire di inedia
Chi legge tutto in termini di adattamento evolutivo afferma che l’essere umano è per sua natura avverso al rischio, questo è il modo in cui si è evoluto; gli esemplari con una forte propensione al rischio, infatti, non si sono evoluti per la semplice ragione che si sono estinti.
In realtà ci sono anche buone ragioni per sostenere il contrario, a partire dal primo che si è scottato per capire come maneggiare il fuoco. Diciamocelo, questa mania di tirare in ballo Darwin à la porcus per dimostrare qualunque cosa serve solo a dare una veste scientifica a qualunque alito di vento.
Sta di fatto che la tecnologia oggi ha potenzialità per la maggior parte non sfruttate. Cioè, potremmo fare di più, molto di più, e meglio, e più velocemente, usando strumenti già disponibili; ma non lo facciamo. Se lavorate in settori, prodotti, servizi innovativi, è meglio saperla questa cosa, prima di accendere una garanzia sulla casa. Vi raccontano le storie gloriose di chi ce l’ha fatta e vi illudete che per portarsi via il mercato basti avere in mano un prodotto largamente superiore a quelli esistenti; ma non è così. Se invece lavorate in settori o aziende tradizionali che dichiarano di investire in innovazione, continuate a farlo: a dichiararlo, accidenti, non a farlo!
Potremmo continuare a lungo a discettare del perché e del percome, ma per ora ci fermiamo qui, non fosse altro che perché fa troppo caldo, e la teoria dell’evoluzione afferma senza ombra di dubbio che quando le temperature salgono sopra un certo livello, la selezione naturale favorisce chi ne approfitta per riposare all’ombra.
E ora … un po’ di musica
Si può fare la rivoluzione a colpi di startup e evoluzione tecnologica? E’ quella la vera rivoluzione? E’ quella la ragione per cui l’innovazione viene regolata e rallentata? Qualcuno sta rallentando l’innovazione? Ma poi ci interessa fare la rivoluzione? A chi giova?
Fa troppo caldo.
Non sai che stanno parlando di una rivoluzione? Sembra un sussurro ma stanno
parlando di una rivoluzione. Sembra un sussurro, mentre sono in piedi a far la fila all’ufficio di disoccupazione, piangendo alle porte dell’esercito della salvezza, sprecando tempo nelle file dei disoccupati, seduti in attesa di una promozione.Non lo sai? Parlano di una rivoluzione. Sembra un sussurro, ma i poveri si solleveranno e avranno la loro parte. I poveri si solleveranno e prenderanno ciò che è loro.
Perché finalmente le carte in tavola stanno iniziando a cambiare, perché finalmente le carte in tavola stanno iniziando a girare.